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La Cripta della Trinità

la cripta      La cripta della Trinità

(by Antonio Abbate)

La cappella della Trinità di Revaca è molto più antica della chiesa alla quale fu accorpata. Ciò risulta dagli annali della curia oltre che dalla data impressa alla base del gruppo ligneo della Trinità che sovrasta l’altare.

Costruita alla fine del XVII secolo, fin dall’inizio fu la sede di una confraternita di laici dedita alle onoranze funebri.

Allora i confratelli erano tutti nobili ed associandosi acquisivano il diritto di essere sepolti nella cripta della cappella.

La confraternita è giunta fino ai nostri giorni con lo stesso fine di rendere onoranze ai defunti ma la sepoltura nella cripta è stata vietata dai tempi di Gioacchino Murat.

Le solenni celebrazioni in suffragio dei confratelli defunti, si svolgono ancora nella cappella e in tali occasioni il Priore e gli associati si seggono sugli stalli dell’artistico coro di noce massello allineati alla parete d’ingresso e a quelle laterali.

Sono oggetti di grande pregio composti di un’alta spalliera, la seduta, l’inginocchiatoio e la balaustra. Figure a basso rilievo di angeli, teschi, corone di alloro, fiori e tibie, fanno da ornamento alle spalliere e alle balaustre.

Il banco del direttivo sulla parete dell’ingresso è sormontato da un baldacchino ligneo sulla cui sommità è posto un grande teschio tra due tibie incrociate.

Negli anni cinquanta del secolo scorso, il priore decise di ristrutturare gli antichi banchi che stridevano e scricchiolavano insopportabilmente quando i confratelli vi prendevano posto, disturbando le solenni funzioni.

Nel corso della ristrutturazione, sotto il seggio del Priore, si rinvenne una lapide marmorea sulla quale era scolpita una macina e questa frase in latino: “Peccatorum debita solvit macina”.

Il ritrovamento destò molto scalpore e latinisti ed esegeti vennero alla ribalta per spiegarne il significato.

La traduzione letterale “una macina assolve le colpe dei peccatori” non aveva un chiaro significato e perciò ci fu un moltiplicarsi di spiegazioni.

Un filosofo: Si possono espiare i peccati facendo girare la macina di un mulino sostituendosi all’asino, mortificando così il proprio ego e umiliando il proprio corpo..

Un canonico: La macina indica la farina e quindi si espiano i peccati dando pane ai poveri.

Un datore di lavoro: la macina è il simbolo della fatica, indica il lavoro fisico; lavorando si espiano i peccati, lo diceva anche san Benedetto “ora et labora”.

Il ritrovamento dette il via anche a un fervore di ricerche storiche e alcuni eruditi studiarono attentamente annali ecclesiastici e cronache laiche del XVII e XVIII secolo e confrontando le loro ricerche con i reperti della cripta, giunsero a un’altra spiegazione.

Sollevata la lastra di marmo, ci si trovò su una scala intagliata nella roccia, discesa la quale, si entrò in un locale rettangolare simile a una grotta spoglia, senza alcun arredo se non seggi in tufo lungo le due pareti laterali. Sul pavimento della grotta nei pressi dei seggi giacevano delle strane pietre anch’esse di tufo di varia grandezza, di forma circolare e bucate nel centro.

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Un giovane cavaliere, bello e altero, un capitano delle guardie del viceré, Alonso Rodrigo Basco, spronava il suo snello cavallo arabo sulla salita verso Caputplanum.

Era salito dal quartiere della guarnigione al centro della città sulla collina periferica al galoppo. Aveva fretta e sollecitava con gli speroni d’oro la cavalcatura, anche se il cavallo nitriva e schiumava per lo sforzo. Sapeva che mancava poco al superamento della sommità del rilievo cui sarebbe seguita la lieve discesa verso le fertili campagne di Secondianum. Oltrepassato questa contrada, decise di attraversare l’insano acquitrino di Ca’ Viatoris, la via più breve per arrivare al castello del Marchese Borca Valero Segundo nel territorio di Casaurea feudo di costui.

Nobile venuto dalla Spagna, prepotente e malvagio il marchese imperversava nei suoi possedimenti terrorizzando la popolazione con la sua crudeltà e vessandola con le sue ruberie. Già avanti negli anni, si invaghì della giovane bella Elisa, figlia del notaio di Casaurea, barone di Fracta, pur essendo la fanciulla, di soli diciassette anni, legata sentimentalmente al capitano Basco.

Non volle sentire ragioni nemmeno dal curato che era andato a perorare la causa della ragazza anzi lo fece bastonare dai servi e con lusinghe e minacce di morte rivolte al notaio riuscì a impalmarla; ma non ebbe mai il suo amore.

I sentimenti di Elisa per il capitano non si interruppero e proprio perché contrastati si rafforzarono e i due innamorati non potendo diventare marito e moglie divennero amanti, incontrandosi addirittura nel castello del marchese.

La tresca proseguì indisturbata per alcuni anni fino a che qualcuno ne informò il marito tradito.

Il capitano giunto nei pressi del castello si inoltrò in un boschetto distante poche decine di metri dal retro del maniero e assicurò il cavallo al tronco di un giovane pioppo.

Successivamente, come solitamente faceva, si sarebbe introdotto nella casa dell’amante da un passaggio riservato ai fornitori, quindi, attraversata la cantina e la cucina, avrebbe raggiunto con la complicità della servitù, l’amata nel suo appartamento.

Ma quel giorno, dai cespugli nei quali erano nascosti, sbucarono quattro uomini armati e mascherati che assalirono il capitano.

Questi benché preso di sorpresa si difese strenuamente ma alla fine dovette soccombere all’esorbitante numero di assalitori, trafitto da una lama al costato.

“Questo è il messaggio che ti manda il Marchese con i suoi auguri di buon viaggio”gli disse sprezzante il suo assassino.

Le spoglie del capitano furono portate al castello per consentire al marito tradito di consumare un’ulteriore sadica vendetta. Il marchese le introdusse nella camera della moglie alla quale ordinò: ”Ora godi con lui davanti a me; ti accordo il mio permesso”.

La povera Elisa, sopraffatta dal dolore per la morte dell’amante e terrorizzata dall’ordine del marito, non trovò altra soluzione che saltare giù dalla finestra.

La vendetta del feroce marchese si concluse con l’assassinio del notaio che fu rinvenuto cadavere nel suo studio ucciso col cianuro.

Il marchese non si risposò e continuò a vivere tra gozzoviglie e stupri e violenze e vessazioni.

Borca Valero Segundo, da sempre dichiaratosi ateo convinto, invecchiò anche lui e si vide calvo, debole, incapace di manovrare la spada. Allora le convinzioni dell’ateo vacillarono e riaffiorarono dubbi e paure: “E se esistesse un’altra vita dopo la morte? Se ci fosse davvero un premio per i buoni e una punizione per i malvagi?"
Questi dubbi lo resero precauzionalmente meno prepotente e violento.

Un sogno poi lo cambiò radicalmente. Sognò Elisa circondata da fiamme che gli parlò:” Sono in queste fiamme che bruciano ma non consumano perché il mio peccato ha trovato misericordia. Dopo l’espiazione andrò fra i beati; tu invece brucerai nel fuoco eterno”.

Era solo un sogno ma ebbe la capacità di trasformare il marchese in un cristiano credente e fervente praticante.

Beneficiava i poveri, visitava gli ammalati e i carcerati.

Fece erigere a sue spese la cappella dedicata alla Trinità sotto la quale fece scavare la strana cripta cui si accedeva dalla botola nascosta sotto il seggio del priore.

Per onorare i morti, istituì la Confraternita della Trinità di cui dettò le regole severe.

I confratelli dovevano dedicarsi a opere di carità nei confronti dei poveri e a riti di suffragio per i defunti. Dovevano, tra l’altro, accompagnarli religiosamente all’ultima dimora intonando per essi il “Dies irae”.

Dovevano, inoltre, già in vita iniziare ad espiare i peccati commessi, con la mortificazione corporale. A questo scopo il marchese inventò la pietra circolare di peso variabile (a ciascuno la sua scelta) bucata al centro che con una corda si attaccava al collo.

Il marchese ne adottò una di tre chili.

La macina doveva accompagnare il penitente anche nella sepoltura: il confratello defunto veniva assicurato con legacci di cuoio al trono di tufo con la pietra al collo.

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Con questa cronaca ricostruita dagli eruditi ricercatori fu chiarito il vero significato della frase sibillina scolpita sulla botola di marmo:

“La macina (la pietra tonda appesa al collo) ottiene al peccatore il perdono”.

Giovedì, 02 Giugno 2022
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