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Accadde a Natale

Accadde a Natale

 

Accadde a Natale

(by Antonio Abbate)

 

Il giorno ventotto dicembre del 1951, l’unico impiegato del comune di Roccaspina, piccolo  borgo di montagna fatto di poche case sparse sui prati o immerse nei boschi, registrò la nascita di Salvatore Miles figlio di Tilde Miles, nubile e di padre ignoto. La denuncia di nascita fu fatta dalla stessa Miles che dichiarò di avere partorito suo figlio il ventiquattro dicembre alla ore 23 e trenta nella casa della signora Giuseppa Scanavacca. La dichiarazione fu confermata dalla levatrice locale Addolorata Fasulo e da due sorelle contadine Concetta e Immacolata Percuoco.

Questo fu l’epilogo di una drammatica e travagliata vicenda.

Appena entrato in casa Pietro salutò la moglie e chiese subito di Gisella, la nuora  che dopo il matrimonio con Enzo, suo figlio, era andata ad abitare in quella casa.

La moglie abbassò lo sguardo sul pavimento: se n’è andata – disse. Pietro ne fu molto contrariato.

Questo maledetto lavoro – imprecò.  Per mesi lontani da casa a romperci le ossa sulle navi e quando ritorni ecco le sorprese.

Infatti per la mancanza di altre opportunità lavorative, in quel paese affacciato sul mare quasi tutti gli uomini erano costretti a lavorare in mare.

La moglie riprese: Un giorno mi ha espresso il desiderio di trascorrere qualche giorno con sua madre e non è più ritornata.

Certamente deve esserci stato del malumore tra di voi! Non è vero? Affermò il marito già attribuendo alla moglie la colpa per quanto accaduto.

Si sa che le suocere hanno in odio le nuore perché sono gelose dei figli.

Hai dimenticato che per Enzo lei ha significato la salvezza? Le disse con tono di rimprovero il marito.

Lo so bene  -confermò la moglie – e proprio per questo l’ho trattata più che una figlia. Mai un rimprovero, solo premure, attenzioni ma lei col passare dei giorni diventava sempre più triste ed introversa: non mi rivolgeva la parola, era sempre pensierosa ed inquieta. Per questo quando mi ha chiesto di andare dalla madre non mi sono opposta anzi ho sperato che fosse una  buona soluzione per farla uscire dalla depressione.

Ma non sei andata da lei qualche volta? Qualche volta? Sapessi quante volte ho tentato di incontrarla ma non l’ho potuta vedere. E sua madre inventava sempre scuse né mi dava notizie di lei limitandosi a dire “è stanca, molto stanca, sarà ammalata”. Alla fine è scomparsa insieme alla mamma e, solo dando una mancia alla cameriera, sono riuscito a strapparle che erano andata in campagna dalla zia Giuseppina.

Pietro contava molto sulla riuscita del matrimonio del figlio con Gisella perché era convinto che  col matrimonio era riuscito ad allontanare Enzo dalla sua amante.

Il giovane, infatti, si era legato sentimentalmente ad una bellissima donna, una forestiera, forse separata o vedova , che aveva aperto un elegante sartoria in paese.

Costei era molto chiacchierata soprattutto dalle donne perché si truccava, fumava anche in pubblico, andava perfino al bar a bere il caffè. Una vergogna.

Ma anche qualche uomo malignava, in particolare chi aveva pensato di trovare una donna di facili costumi ed era stato respinto dal comportamento signorile ed onesto della sarta.

Erano chiaramente calunnie di uomini meschini e donne grette e invidiose che si sentivano umiliate da tanta bellezza ed eleganza, loro che ancora portavano gonne lunghe e capelli raccolti in un crocchio sulla testa.

I genitori di Enzo avevano osteggiato il legame  perché la donna aveva almeno venti anni più di lui.

L’avevano dapprima pregato, poi rimproverato, assillato, minacciato fino a che esausto Enzo li aveva accontentati rompendo il legame peccaminoso e accettando di sposare Gisella.

Pietro tanto preoccupato per la situazione verificatasi, non riusciva ad inventarsi una soluzione, decise perciò di attendere l’arrivo del consuocero anche lui comandante di una nave mercantile.

Il consuocero giunse dopo qualche giorno, quando mancavano due giorni al Natale.

Era fuori di sé per quanto successo ed arrabbiato con Pietro dal quale pretendeva chiarimenti,

Ma sii ragionevole – gli disse Pietro- credo che mi debba tu delle spiegazioni considerato che è stata tua figlia ad abbandonare la mia casa senza dare ad Aurora alcuna motivazione. Chiedilo a tua moglie! Possibile che ti tenga ancora all’oscuro di tutto? Non è che ci nascondete qualcosa?

Luigi si calmò alquanto. Devo ammetterlo- affermò masticando amaro – mia moglie mi ha trattato come il due di coppe e questo lo regolerò con lei al più presto. Ma penso di conoscere il motivo della fuga di Gisella. Non può essere che uno: tuo figlio non ha interrotto il rapporto con l’amante e questo una ragazza sincera e orgogliosa come Gisella non l’ha potuto tollerare.

Tu dici? Esclamò sorpreso Pietro Si lo dico e ne sono sicuro.

Io invece ne continuo a dubitare. Se Enzo è ritornato a imbarcarsi pochi giorni dopo le nozze, come avrebbe potuto riprendere i contatti con l’amante?

Questo non lo posso sapere, rispose Luigi, ma ce lo dirà lei, la bella forestiera, la signora Tilde.

Si presentarono entrambi all’atelier della Miles che li ricevette con molta cortesia facendoli accomodare nel salottino riservato ai clienti prestigiosi.

Posso prepararvi un caffè? Chiese educatamente.

Veniamo al sodo – invece rispose bruscamente Luigi. Signora, non siamo qui come clienti ma come suocero e padre di Enzo.

La donna sbiancò preoccupata e chiese se fosse capitata qualche disgrazia a Enzo.

No Signora , replicò con durezza Luigi, la disgrazia di Enzo è lei. Lei deve lasciar stare quel ragazzo.

Il viso di Tilde mostrava contrarietà e tristezza. Luigi lo notò ed intervenne in modo più corretto:

Ci deve scusare se ci siamo presentati così all’improvviso, ma siamo assillati dalla necessità di chiarire le ragioni del comportamento di Gisella e perciò dobbiamo essere certi che Enzo non sia ritornato da lei.

Oh…no, signori, esclamò immediatamente Tilde, questo non potrà mai più avvenire.  E non è una ripicca di donna abbandonata ma frutto dell’amore che ho per lui. Voi tutti qui in questa cittadina mi avete condannata e non ve ne voglio, ognuno ha la sua idea, ma poiché siete venuti a farmi questi discorsi mi sento autorizzata a parlarvi del legame sincero che mi univa ad Enzo.

Quanta resistenza ho opposto all’amore che il ragazzo mi dimostrava e che sacrificio è stato per me donna sola in un paese che non mi ha accolta.

Ricordo che venne qui la prima volta per richiedermi delle riparazioni. Io gli feci presente che non eseguivo piccoli lavoretti, ma lui insisteva.

Ho capito che era una scusa per incontrarmi ed infatti nei giorni successivi si ripresentava con vari pretesti. Dopo poco ha cominciato a farmi una corte sempre più assidua ed assillante. Ed io: Mi puoi essere figlio. E cercavo di scoraggiarlo in ogni modo: Oggi ti sembro bella e desiderabile ma fra pochi anni la mia persona potrebbe esserti sgradita. Ma lui no, non se ne capacitava e insisteva con quelle frasi alle quali una donna non può essere indifferente Mi diceva: voglio solo te, per me sei il Paradiso, ti amerò per sempre.

All’inizio, esaminando i miei sentimenti mi dicevo: gli voglio bene come a un figlio; poi:  è solo un caro amico al quale mi sto affezionando. Ingannavo me stessa. Un giorno mi ha sorpresa in uno stato di prostrazione e di debolezza e non ho più avuta la forza di resistergli.

Gli ho però detto subito che avrei sempre anteposto a tutto il suo bene.

E per questo, quando ho saputo che per lui era stato organizzato un buon matrimonio con una brava ragazza, mi sono tirata in disparte.

E lui insisteva e come; l’ho lasciato io dicendogli orribili menzogne, non potete sapere con quanta sofferenza. Non potete neanche immaginarla perché io l’amavo davvero. Mi sono inventata che non ero più attratto da lui; che in fin dei conti non l’avevo mai amato; che era stato un capriccio come tanti.

Pensate ora, domandò infine, che mi sia potuta rimettere con lui?   

No, no – le rispose Luigi – anche lui convinto dalle sue sincere parole – ma  poiché ha detto che desidera solo il suo bene, le chiedo un grande favore.

Se posso, volentieri – gli rispose Le chiesero di accompagnarli dalla zia, per convincere Gisella della cessazione definitiva del legame con Enzo. Tilde era molto dubbiosa sull’utilità del suo intervento e fece presente anche l’inopportunità di essere presente, lei del tutto estranea, nella loro famiglia, in occasione di una festività tanto importante. Cedette infine alle loro insistenze.

Il giorno dopo attesero l’arrivo di Enzo che come il genitore rientrava in famiglia per le feste natalizie. Nel pomeriggio col trenino locale a nafta che si arrampicava sulla montagna, Pietro e la moglie, Luigi e i due ex amanti si recarono a Torrespina a casa della zia Pina, rifugio di Gisella.

La casa di campagna era una bella costruzione rurale, alla quale si accedeva per un viale in terra battuta tra due filari di pioppi. Un cancello di ferro tra due pilastri di mattoni rossi sbarrava l’ingresso.

Pietro pigiò più volte il pulsante del campanello senza ottenere risposta. Dette allora una spinta al cancello che cigolando si aprì.

All’ingresso si accomodarono in un salottino in vimini racchiuso in una veranda in attesa di essere ricevuti. Erano tutti preoccupati e tesi: perché nessuno chiariva questo mistero? I due amanti dopo essersi freddamente salutati non si erano più rivolti la parola.

Luigi finalmente si risolse a bussare con forza ai vetri della porta d’ingresso rischiando di romperli, richiamando l’attenzione di una cameriera che venne ad aprire e riconosciutolo, corse a chiamare la moglie.

Questa, quando uscì nella veranda, aveva un’espressione preoccupata ed affranta e notata la presenza di un’estranea non si decideva a parlare.

Si può finalmente sapere che accade? – le chiese il marito

La donna ci pensò qualche istante come se ricercasse la risposta più idonea, poi decise: Entra e renditene conto.

Entrarono tutti. La porta immetteva direttamente in un grande soggiorno su cui si aprivano alcune porte, tutto addobbato per la festività imminente. Un grande presepe tradizionale in sughero e cartone, già tutto illuminato, occupava l’intero spazio fra due porte. Due donne passavano e ripassavano frettolose nel salone

portando biancheria, acqua ed altri oggetti verso la stanza dalla quale provenivano di tanto in tanto dei lamenti.

Pietro si convinse che Gisella stava veramente male e lo confidò alla moglie.

Intanto attraversava il salone Gioele, il vecchio factotum della zia Pina, recando un catino con acqua calda.

Notando la presenza di Luigi, che conosceva da bambino, si fermò a salutarlo e questi ne approfittò per chiedergli notizie sullo stato di salute di Gisella.

In questo momento non sta troppo bene – rispose -  ma presto finirà tutto.

Luigi non sapeva più cosa pensare.

Finalmente svelò l’arcano la zia Pina che apparve su un uscio tutta curva, appoggiata sul suo solito bastone. Senza preambolo e senza salutare nessuno dei presenti annunziò: Per sera sarà nato.

Ma chi deve nascere?  chiese angosciata Aurora la mamma di Enzo. Il figlio di Gisella, ormai ci siamo.

Sorpresi ma felici i futuri nonni si abbracciarono e si complimentarono a vicenda.

Aurora però disse a Luigi: Solo per questo si è allontanata da casa mia. Sarebbe stato meglio che fosse rimasta con me; l’avrei assistita anch’io amorevolmente.

Temendo l’innesco di un’inutile discussione il marito tagliò corto: Gisella è giovane ed ha avuto vergogna di far conoscere il suo stato. Con le mamme le ragazze hanno più confidenza.

Intanto Enzo era uscito fuori nella veranda e stava lì torvo guardando fisso il pavimento.

Decisero di andare a complimentarsi col novello papà dal quale furono raggelati: C’è poco da gioire! Il bambino che nasce non è mio figlio.

Al padre di Gisella affluì tutto il sangue che aveva alla testa per un accesso d’ira e lo redarguì: ma come ti permetti di affermare una cosa tanto grave!

Se lo dico è perché ne ho certezza. Quando abbiamo acconsentito a sposarci ci siamo promessi reciprocamente di non avere rapporti prima che fra noi nascesse non l’amore ma almeno una sincera amicizia. Questo non si è verificato fino a quando sono ritornato sulla mia nave. Non resta che una conclusione: Gisella era incinta ancor prima di sposarsi. Voi lo sapete bene, Gisella mi ha confidato tutto: lei da tempo portava avanti un rapporto amoroso da voi osteggiato.

La serata continuò a trascorrere malinconicamente nel silenzio che veniva interrotto periodicamente dalle urla della partoriente che raggelavano il sangue.

Gioele servì agli ospiti una cena fredda, ma nessuno toccò il cibo. Tilde imbarazzatissima si informò se fosse stato possibile andare via ma prima dell’alba non ci sarebbero stati mezzi di trasporto.

Mancava poco alla mezzanotte. Sull’uscio della zona notte della casa si presentò una della donne viste passare nel salone: E’ un maschio annunziò  euforica, aspettandosi esclamazioni di gioia.

Nessuno esultò, anzi corsero tra i consuoceri sguardi astiosi e ostili.

Enzo confermò la sua grave decisione: Se lo tenga Gisella il figlio maschio; non voglio il figlio di un altro e nemmeno sua mamma. Trascorsero pochi minuti e si presentò la levatrice con in braccio il neonato. Con voce rotta dalla commozione si rivolse ai presunti nonni: Gisella rifiuta suo figlio e non vuole nemmeno vederlo: lo devo affidare a voi nonni.

Non è il figlio di mio figlio  -si affrettò a precisare Pietro – e perciò ci è del tutto estraneo. Lo tengano loro che sono i genitori di Gisella.

Ma anche costoro  rifiutarono: se non lo vuole nostra figlia, ci sarà una buona ragione e pertanto anche noi non l’accettiamo.

Non mi resta allora – concluse con tono ancora più triste la levatrice – che ricoverarlo subito nell’istituto degli orfani di zona.

La signora Tilde che fino a quel momento si era tenuta imbarazzatissima in disparte, essendo lei estranea alla famiglia e la vicenda assai scabrosa, non riuscì più  a trattenersi di fronte al sopruso e alla malvagità di quella gente. L’ira fino ad allora trattenuta per pudore, venne fuori con violenza e lei si alzò in piedi e quasi in un grido richiese il bambino alla levatrice: - No povero piccino, datelo a me. Lo riconoscerò io la  donna di malaffare, la poco di buono, la malafemmina come sono abituati a definirmi costoro.

Gli darò io l’amore che i suoi parenti gli negano. Ma che colpa ha questo esserino? Forse che è stato lui a chiedervi di metterlo al mondo? Non è da uomini trattarlo in questo modo, neanche a un animaletto si nega una carezza. Ditemi perché dovrebbe pagare lui innocente, debole, indifeso le vostre colpe, il vostro smodato egoismo, il vostro fariseismo da benpensanti.

E voi suoi nonni, benpensanti cavalieri senza macchia, ritenete di tutelare l’onore di vostra figlia allontanando furtivamente dalla vostra discendenza il frutto di un amore proibito?

Attonite le due cameriere, sopraggiunte al vociare concitato, seguivano la sua invettiva. Tilde si rivolse ad esse e alzando l’indice accusatore  contro i parenti del neonato continuò: Questa è l’umanità dei benpensanti, dei moralisti amorali, dei puritani pronti a scandalizzarsi per l’amore che una donna matura prova per un giovane uomo.

Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Entrò in sala Gioele seguito da una donna. Entrambi avevano in mano un cero devozionale acceso.

Sta per nascere Gesù, annunziò il vecchio, inginocchiamoci davanti al presepe.

Tilde lo bloccò: No Gioele, questa volta non inginocchiatevi davanti ad un paesaggio di sughero e carta, davanti a una statuina di terracotta.

Tilde si avvicinò alla levatrice e quasi le strappò dalle braccia il bambino.

Venite a rendere omaggio e inginocchiatevi davanti a questo bambino in carne ed ossa perché è lui che rappresenta Gesù più che ogni statuina.

E’ qui il vero presepe. Gesù nacque povero ma era ricco dell’amore dei suoi genitori. Fu riscaldato dai baci della sua mamma che a questo bambino sono stati negati. Gesù nacque povero ma costui è il più povero tra i poveri: rifiutato dalla mamma, senza un padre, vituperato dai nonni, oggetto inutile e ingombrante che si ha l’ansia di buttare via.

Rendete omaggio a lui, disprezzato e offeso nella sua umanità, uomo oltraggiato dall’egoismo di chi doveva amarlo.

Gioele commosso da queste parole si diresse lentamente verso il bambino seguito dalla fantesca.

Tilde intanto si era seduta su una poltrona e stringeva al petto il fragile esserino, il piccolo neonato dal faccino arrossato, con una testina minuscola ricoperta da tanti capelli neri come il carbone che vagiva dolcemente storcendo la boccuccia rosea in cerca del petto della donna.

Gioele e la cameriera si inginocchiarono davanti a questa reale toccante natività e sommessamente intonarono: “ tu scendi dalle stelle…”, Cullato dal dolce canto natalizio il pargoletto si addormentò sereno sul caldo seno della generosa mamma adottiva.

    

Lunedì, 05 Giugno 2017
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