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La Romana

La Romana

Gli amici di Revaca già protagonisti di altri racconti si entusiasmano per l’arrivo di una ragazza dalla capitale.

                                                                                LA ROMANA
                                                                           (by Antonio Abbate)

Mario spesso sostava presso la sartoria di Saverio che gli aveva rivoltato un cappotto che era venuto come nuovo e ora gli stava restringendo alcuni eleganti vestiti che erano stati di suo padre.
In sartoria aveva incontrato Fabrizio, un ventisettenne romano che si era trasferito da Roma a Revaca con la giovane moglie e due bambini. Uno giudicato un tipo strano da chi lo conosceva intanto perché si era trasferito da Roma in un paesino insignificante; e poi per certi suoi comportamenti: si lamentava di essere al verde ma girava instancabilmente in moto sfrecciando a grande velocità per il corso; fumava senza interruzione accendendo la sigaretta con la cicca della precedente; aveva ordinato al sarto un secondo vestito pur avendogli richiesto una dilazione per il pagamento del primo.
- Verrà mia sorella – un giorno confidò il giovane al sarto –sai, per aiutare mia moglie; non vorrei però segregarla in casa, è così giovane, dovrà pure uscire per distrarsi un po’. Però. aggiunse in tono preoccupato, non conosco il paese e non vorrei che frequentasse ragazzi poco raccomandabili.
Saverio lo rassicurò dicendogli che la sorellina poteva unirsi, senza timore, alla compagnia di Mario, tutti giovani appartenenti a famiglie oneste e impegnati nello studio o nel lavoro. Mario, che era presente, confermò e promise di tutelarla personalmente.
L’arrivo della Romana, per i ragazzi un grande evento, eccitò la loro fantasia. In quel paese, fatta eccezione per le feste tradizionali e quelle patronali, non si registravano altri avvenimenti interessanti. Perciò la aspettavano con grande ansia e curiosità. Fra di loro non parlavano d’altro. Si chiedevano se era bella come l’aveva descritta Saverio; chi sarebbe riuscito a farla innamorare. Tutti ci speravano almeno un po’.
Finalmente giunse.
Fu il 30 giugno di quella indimenticabile estate del 1964, nel tardo pomeriggio assolato e polveroso a causa di un vento caldo fastidioso. Si erano dati appuntamento presso il negozio-abitazione di Cecilia perché da un po’ di tempo uno del gruppo aveva preso a corteggiare sua sorella trasferitasi presso di lei da alcuni giorni.
Giunse mentre ascoltavano un disco, un grande successo di quell’anno, un quarantacinque giri acquistato con i soldi spillati al tirchio Tanio, virtuale fidanzato segreto di Teresa.
- Ecco la Romana - annunziò entusiasta Mario che ne era stato informato già al mattino da Fabrizio, e perciò ogni tanto usciva dal negozio per riceverla.
Si precipitarono tutti in strada lasciando che il disco si esaurisse in solitudine.
Da lontano era una visione. Alta, capelli lunghi chiari splendenti sotto i raggi obliqui del sole pomeridiano, vestito di sottile stoffa dai colori delicati che aderiva alle gambe da gazzella, schiacciato su di esse dalle intermittenti folate di vento.
Avanzava lentamente con eleganza come una indossatrice in passerella seguita dagli sguardi pieni di ammirazione e di curiosità delle donne sedute all’ombra, fuori dai bassi e dalle occhiate concupiscenti dei mariti in canottiera con le braccia tatuate a ricordo dei loro soggiorni in carcere.
- Giada – la chiamò Mario quando era giunta a poca distanza dall’ingresso del negozio.
Gli rispose con un sorriso e accennò un saluto con una mano.
Mario le si accostò: - Bellissima, io sono Mario, un po’ l’animatore del gruppo, come ti avrà riferito tuo fratello.
Non gli lasciarono il tempo di pronunciare le frasi di benvenuto che si era preparato.
In un attimo la ragazza fu attorniata e tutti fecero a gara spintonandosi per presentarsi, quasi che la precedenza nel farsi conoscere potesse attribuire loro un diritto di prelazione. Tutti l’abbracciarono e la baciarono come fossero amici di lunga data e le rivolsero frasi gentili utilizzando parole le più affettuose e entusiaste.
Tutti ad eccezione di Ciro che si fece avanti per ultimo, un po’ perché aborriva la competizione ma anche perché era stato frastornato da tanta bellezza.
Giada era bella ma veramente bella, come solo a sedici anni una ragazza come lei poteva esserlo, con fattezze di donna e la freschezza di adolescente.
Gli occhi luminosi, il volto abbronzato che lasciava intravedere solo un leggero rossore dovuto alla lunga strada percorsa a piedi sotto il sole, labbra carnose ma non volgari, i denti perfettamente allineati e bianchissimi che nel sorriso sembravano accendersi come la luce di un faro, il decolté molto generoso e le gambe slanciate e ben tornite.
Presentandosi Ciro disse sottovoce solo il suo nome, porgendole la mano mentre deglutiva la saliva per riaprire la laringe che gli si era ristretta per l’emozione.
Giada gli rispose unicamente ciao.
- Vuoi entrare? - le propose Alex - ti facciamo ascoltare “Una lacrima sul viso” la canzone di Bobby Solo, è la più venduta di quest’anno Mario la invitò a ballare e lei acconsentì. Ciro rimase in strada appoggiato al muro del negozio.
Giada ballò a turno con tutti poi uscì fuori.
- Ciro (ricordava il suo nome) tu non balli?
- Non mi va, ora.
-Se non sai ballare ti insegno io.
- Non so ballare – confermò il giovane - ma un lento… che ci vuole. Non occorre essere un ballerino; è solo che ora non mi va. Lo guardò risentita, mise un vezzoso broncio e rientrò. Dopo poco andò via perché doveva badare alla piccina della cognata che era febbricitante. Passò vicino a Ciro, quasi sfiorandolo, fingendo indifferenza e senza salutarlo; poi fatti ancora alcuni passi si fermò e voltandosi gli propose:
- Domani a quest’ora devo andare a comprare le mele nurca o annurca o come si chiamano, per la mia nipotina; sembra che siano un toccasana per il pancino della piccina. Mi hanno detto che devo andare dal Magone, un contadino fuori dal paese; è l’unico fornito in questa stagione. Il nome Magone mi intimorisce, pensavo che potresti accompagnarmi. Questa richiesta rivoltagli inaspettatamente lo meravigliò e lo entusiasmò.
“Perché l’ha chiesto proprio a me? Sono l’unico che non le ha fatto moine ” pensava mentre rispondeva con finta noncuranza: - se vuoi…
- Certo che voglio altrimenti non te lo avrei chiesto, ciao!
Gli sorrise e se ne andò col suo passo armonioso.
Immediati i commenti:- che donna- disse Patrizio; - che seni -esclamò Alex - e il mandolino? chiese Mario che subito aggiunse:
-Fatevi da parte e consideratela già mia che sono sicuro di conquistarla in pochi giorni.
- E’ una bella ragazza ed anche simpatica, il che non guasta - concluse Caterina la sorella di Cecilia.
Furono tutti d’accordo. Ritornò il giorno dopo alla stessa ora allo stesso posto.
Ma c’erano tutti e tutti l’accompagnarono ad acquistare le mele, facendo a gara per starle il più possibile vicino. Lungo la strada si scambiavano di posto di continuo costretti da uno spintone o da un repentino intromettersi tra lei e chi al momento le stava accanto.
Tutti tentavano di procurarsi una occasione per rimanere un giorno da soli con lei. Chi la invitò a cena a casa dai genitori, chi le propose di partecipazione ad una festa familiare; un altro si offrì come accompagnatore nella visita al museo cittadino o all’antica cappella della Confraternita della Trinità. Alex, l’unico che possedeva una Vespa, le propose un giro panoramico in moto con cui era certo di sedurla.
Lei gentilmente non rifiutava nessun invito ma nemmeno accettava, lasciando tutti nel vago ma ringraziando sempre per la proposta.
Conversava con tutti con grande familiarità come se fossero stati amici da sempre . I ragazzi, in preda all’euforia, ad ogni battuta spiritosa ridevano sguaiatamente. Pur non cercandola insistentemente come gli altri, Ciro se la trovava spesso vicina. Trascorsero tutti insieme una settimana in allegria. In paese si festeggiava il santo patrono con luminarie, concerti bandistici e bancarelle di dolciumi.
Si incontravano tutti i pomeriggi e passeggiavano chiacchierando allegramente sul corso o sostavano ai tavoli di un bar per un caffè o per gustare uno spumone.
La domenica si dettero appuntamento di sera, tardi, per assistere alle gare di fuochi d’artificio.
- Non so se me lo permetterà; mio fratello non vuole che esca di sera. La sera è pericolosa, dice. Come se una persona possa la sera diventare un’altra. Dottor Jekil di giorno e Mister Hyde di sera. Comunque farò di tutto per esserci, guardò Ciro e gli sorrise. Andò via e, da lontano, si voltò e rivolse solo a Ciro un cenno di saluto con la mano.
La sera alle dieci non era ancora arrivata; alle dieci e trenta, orario di inizio della gara, nemmeno.
Ormai stavano per dare fuoco alle micce e Ciro ero molto deluso. Doveva ammetterlo: aveva atteso il suo arrivo contando non solo le ore ma anche i minuti con un desiderio spasmodico che gli dava i capogiri e i crampi allo stomaco.
- Eccola- esclamò Alex e le corse incontro. La prese un po’ ruvidamente per un braccio e la condusse nel centro del gruppo. Proprio in quel momento uno scoppio accese nel cielo un caleidoscopio di fuochi multicolori illuminando a giorno il piazzale del mercato.
- Da qui non si vede bene, sussurrò Giada a Ciro. Vieni, andiamo più in là.
Così dicendo lo prese per mano e lo condusse ben fuori dalla folla, più indietro in un angolo isolato e non gli lasciò più la mano. I bagliori colorati provocati dalle deflagrazioni delle granate illuminavano ad intermittenza il piazzale riflettendosi sul suo bel viso. Ciro guardava la sua bocca sorridente e pensava che per un suo bacio avrebbe speso tutti i suoi averi sempre che avesse avuto qualcosa.
Quando un boato più potente degli altri annunziò la fine della gara, Ciro era rosso di emozione e gonfio di desiderio. Vergognoso benedisse il buio che era ritornato.
Lei però si avvicinò di più e guardandolo negli occhi gli disse:- sono felice e nascondendo il viso dietro la sua borsetta, avvicinò le labbra alla bocca del ragazzo, desiderosa di ricevere il primo bacio.
Da quella sera gli altri capirono che era stata lei a scegliere e si chiamarono fuori dalla competizione.
I due innamorati presero a frequentarsi assiduamente finché un giorno:
- Non potremo stare molto insieme nei prossimi giorni - le disse Ciro molto rattristato, essendo stato richiamato da suo padre per lo scarso impegno nello studio - perché sono stato rimandato e devo prepararmi per l’esame di riparazione.
- Mi spiace tanto. Perché non ti se impegnato durante l’anno scolastico? Avremmo avuto l’estate tutta per noi. Io ho dato il massimo proprio per te ! Ciro sorrise, l’attirò a sé e la baciò.
-Ma se nemmeno sapevi della mia esistenza; ti sei impegnata per un altro.
- Non… è… così… – rispose Giada intercalando ciascuna delle tre parole con un piccolo bacio – senza conoscerti pensavo a te e chiudendo gli occhi ti vedevo proprio come sei, magro, alto, timido e con i tuoi belli occhi verdi come il mare del golfo.
Trascorsero due giorni senza che si potessero incontrare, poi Giada decise che doveva assolutamente vederlo e andò casa di Ciro al mattino. A Ciro disse “Non resistevo più senza vederti. Al padre che abbracciò e baciò con grande cordialità: - Suo figlio mi ha parlato molto di lei e tanto bene che non ho potuto esimermi dal fare la sua conoscenza.
- Ti ringrazio- le rispose, fingendo di averle creduto.
- Noi scendiamo in giardino, tanto la traduzione di oggi l’ho fatta ieri. Il padre gli indirizzò un’occhiataccia ma non aggiunse commento. Giada si ripresentò ogni giorno, giustificando la sua venuta sempre con una scusa diversa: un consiglio da chiedere, un ingrediente di una ricetta da confermare, una lettera da scrivere, ma era sempre poco credibile tanto che il padre di Ciro , preoccupato, le disse: - se verrà bocciato sarà stata anche colpa tua.
Ma nonostante questo avvertimento, continuarono a vedersi ogni giorno. Ciro si era lasciato voluttuosamente sommergere dall’amore. Per la prima volta viveva nell’estasi di una vera passione. Aspettava Giada sempre con maggiore desiderio. I libri di greco li depose definitivamente in cartella. A fine luglio organizzò in suo onore una festa sotto la tettoia del giardino. C’erano i soliti del gruppo e le solite tre o quattro ragazze dei loro abituali balletti.
Lei per tutta la serata ballò solo con Ciro ma non appariva serena e allegra come al solito. Aveva negli occhi un velo di tristezza. Il giradischi diffondeva note malinconiche. “Era d’estate e tu eri con me ” sospirava Sergio Endrigo.
Ciro le chiese se era felice. Lei scosse il capo leggermente in segno di diniego:
- domani mio fratello mi riporta a Roma perché, per lui, ho già trascorso qui con te troppo tempo.
Fu un colpo durissimo, una fitta al cuore. Ciro ormai la sentiva parte di sé e privarsene gli sembrava un sacrificio insopportabile, una mutilazione fisica. Respirò profondamente per riprendersi dall’emozione e con un filo di voce le sussurrò: - sei stata con me così poco che non ho avuto nemmeno il tempo per dirti quanto ti amo.
Giada lo strinse forte forte a sé nascondendo il viso sul suo petto. Quando si staccò da lui, Ciro notò che il suo bel volto era rigato di lacrime. Le sfiorò delicatamente il viso seguendo con l’indice il percorso della lacrima sulla guancia destra, poi la baciò con grande tenerezza.

 

Lunedì, 05 Giugno 2017
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