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REGINA

      REGINA Regina                                     

( by Antonio Abbate)  

 Nacque bella, ma così bella che la levatrice, che pure era avvezza a vedere splendide neonate, commentò entusiasta: “è nata una principessa”. La povera mamma, ancora intontita dalla fatica del parto, indirizzò alla sua piccolina uno sguardo stanco e amorevole e aggiunse con un fil di voce priva di allegria: ”Non una principessa ma una regina”. E volle darle il nome di Regina per buon auspicio, sperando che il nome stesso potesse tenerle lontano le amarezze, i sacrifici e la miseria che la sorte aveva invece riversati a piene mani su di lei.

Da quella nascita invece fu deluso il padre, uomo rozzo e ignorante, lavoratore stagionale addetto al macello comunale solo nel periodo invernale quando si macellavano i maiali.

In quei giorni lo si vedeva recarsi al mattatoio ricoperto da robusti grembiuli di cuoio sanguinolenti, con coltellaccio alla cintura e in mano la mazza con l’uncino per arpionare al muso gli animali.

Era scontento perché sua moglie non era stata capace di dargli un maschio. Un maschio sì, sarebbe stato utile; avrebbe potuto in futuro caricarsi sulle spalle la famiglia e prendersi cura dei genitori quando sarebbero invecchiati.

Le femmine invece a che servono? Buone solo per una cosa.

 Ciro, Mario, Alex e Patrizio, oziavano nella sezione del partito, seduti intorno a un tavolino di legno. I contorni del pianale erano anneriti dalle bruciature delle sigarette che i giocatori di carte erano soliti appoggiarvi. I ragazzi si contagiavano di sbadigli vicendevolmente. Non erano per nulla interessati ai noiosissimi discorsi del “Pallero”, titolare di questo nome per le frottole che era solito raccontare in merito alle sue avventure amorose. Questi, candidatosi alla segreteria della sezione contro “La Voce,” il segretario in carica, voleva convincerli a dargli il loro voto. I quattro amici si facevano forza per non ridere in quanto l’aspirante segretario concludeva ogni frase con le parole “non so se…” prolungando in modo esagerato il ”se” con intonazione interrogativa. In realtà voleva dire “non so se mi sono spiegato”, ma chissà per quale motivo ogni volta ometteva le ultime tre parole.

All’ennesimo “non so se…” Mario bruscamente lo interruppe dicendo: “Ti spieghi , ti spieghi” e per far concludere il discorso, “ sta tranquillo che ti voteremo”. In realtà già avevano deciso di votare “la Voce”, non perché lo stimassero più dell’altro ma perché avevano pena per lui che con quel tenue fil di voce che si trovava, faceva fatica a farsi propaganda.

Andato via il petulante postulante, rimasero a guardare quelli che giocavano a bigliardo.

“Sai chi è quello che gioca a bigliardo?” chiese a Ciro all’improvviso Mario.

“Ma quale dei giocatori?”

“Quello” rispose Mario indicandogli con un cauto movimento della testa il giocatore. “ Quello che mentre preparava il colpo digrigna i denti” .

Ciro guardò verso il bigliardo con più attenzione e notò anch’egli che uno dei giocatori, intento a scegliere la biglia da colpire, si concentrava a fissarla contraendo gli angoli della bocca verso le orecchie, scoprendo i denti come può fare un cane o un lupo che minaccia un componente del branco.

“Ah quello .. è Enzo, il pittore”.

Pittore nel linguaggio parlato era sinonimo di imbianchino. Veramente questo Enzo un tentativo di fare il pittore l’aveva sperimentato restaurando un dipinto di un’edicola votiva. Il risultato era stato un fallimento totale che aveva destato le ire del committente il quale lamentava che al posto degli angeli si era ritrovato dei diavoli tanto erano venuti brutti.

“Si, ma poi…” insisteva Mario.

“Ma poi che?”

“E’altro, molto più interessante”

“Ma si !” aggiunse Ciro spazientito. “ Ha la moglie giovane e disponibile, dicono. Ma spesso la gente sparla in questo paese pettegolo”.

Si diceva che la moglie dell’imbianchino rendeva favori riconoscenti a quegli imprenditori edili che procuravano il lavoro al marito. Ma probabilmente erano solo male lingue.

“Te lo dico io , tagliò corto Mario, è lo zio di Regina”.

Ciro non commentò ma rimase in silenzio, assorto. Un pensiero si era subito impadronito della sua mente: se anche lui, il pittore zio, come altri in paese, assaggiasse di tanto in tanto le beltà della nipotina. Conturbanti immagini presero a scorrergli nella testa, immagini peccaminose; lei nuda sdraiata su un lettuccio lercio, in un “basso” buio e affumicato dall’utilizzo della cucina a carbone, in posizione provocante; lui con la bava alla bocca che allungava le sue mani ruvide e intrise di vernice su quelle carni morbide e bianche come neve, digrignando i denti da belva affamata. Per un attimo invidiò il pittore poi scosse la testa quasi a spingere fuori con quel brusco movimento immagini, pensieri e desideri proibiti.

Regina non crebbe bellissima come prometteva alla nascita ma comunque aveva acquistato crescendo un suo fascino un po’ selvaggio. A quattordici anni non era molto alta ma proporzionata nelle forme, già con un bel seno che orgogliosamente metteva il più possibile in evidenza. Chiara di carnagione, aveva il bell’ovale del viso incorniciato da riccioli biondo rossicci, unito ad uno sguardo di gatta selvatica.

Aveva avuto la sventura di nascere, però, in quella famiglia povera con un padre perverso cinico e ignorante.

Il padre che abitualmente sottraeva tagli di carne dal macello comunale, fu sorpreso in flagrante e licenziato. La famiglia già povera sprofondò nella miseria più nera. Regina poteva già considerarsi donna e il padre risolse i problemi economici destinandola ad essere il sostegno di tutta la famiglia. I primi rudimenti del mestiere glieli insegnò personalmente; quindi le fece fare un tirocinio vendendola a parenti e conoscenti. Quando l’aveva ritenuta ben addestrata per iniziare, l’aveva condotta sulla provinciale all’intersezione con un viottolo di campagna e l’aveva lasciata lì in compagnia di un falò, novella sventurata vestale.

Con i primi guadagni l’uomo acquistò una moto e con questa la portava ogni sera sul posto di lavoro dove alla luce discreta del piccolo rogo, la ragazzina si intratteneva per mille lire coi clienti divenuti subito molto numerosi.

 

“Che schifo”, disse Ciro, per darsi un contegno moralistico, dopo essere uscito a fatica dalla visione erotica.

“Ma quale schifo” intervenne Alex, ti assicuro che è una meraviglia del creato con tutti gli attributi al posto giusto”.

Non poteva dargli torto.

Preso da un raptus improvviso Alex si alzò di scatto, strattonò Ciro: “Vieni con me”, gli disse.

Ciro capì subito la destinazione e seppure curioso di vedere la ragazza, cercò di resistergli ritenendo che accompagnandolo in quel luogo poteva moralmente considerarsi favoreggiatore, ma soprattutto che correva il rischio di essere visto in quel luogo immorale.

Alex lo trascinò con forza verso la sua cinquecento. Ciro rassegnato vi montò.

Dopo pochi minuti giunsero a destinazione. Si fermarono nel piccolo slargo lungo la strada dove iniziava il sentiero di campagna, segnalato dal solito copertone in fiamme.

Lei, a distanza di alcuni passi dal fuoco, sedeva su una pietra ripiegata su se stessa.

Non dava l’immagine né di una vestale né di una donna energica e volitiva, ma di una sventurata abbandonata in un luogo solitario.

Alla vista dell’auto, Regina si rianimò e avvicinatasi al finestrino fu molto contenta di vedere Alex e lo salutò affabilmente.

“Ciao bello, ti aspettavo”, gli disse; “ vieni più spesso, lo sai che mi piaci molto”.

Alex gongolò per il complimento abboccando alla frase con cui lei blandiva ogni cliente abituale.

“Scendi un attimo” disse all’amico. Lei occupò il suo posto.

La cinquecento si allontanò di pochi metri nel sentiero. Ciro rimase sulla strada maledicendo di non avere avuto la forza di opporsi al trascinamento con più energia. Ora era reale la possibilità che passasse qualche conoscente e andasse a riferirlo ai suoi. Per fortuna nessuno passò anche perché si concluse tutto in fretta; non erano trascorsi cinque minuti che già erano di ritorno.

La donna salutò Alex baciandolo sulle labbra.

“E il tuo amico?” chiese poi maliziosa.

“Non ho soldi”, rispose Ciro con sincerità e con rammarico. Ma lei interpretò la risposta come un rifiuto e offesa, gli scagliò contro con ira ” e che ci campi a fa’? Guarda, ricchiò, che da me vengono anche un comandante di aerei, un ufficiale dell’esercito e pure un prete”

“E chi è?” chiese Alex incuriosito.

“Non posso dirti chi è. Dice che viene per salvarmi perciò viene spesso. Tu non vuoi stare con me perché sei impotente”.

Ciro incassò in silenzio mentre Alex metteva in moto.

“Che meraviglia!” esclamò dopo poco con sussiego e soddisfazione Alex . “Una carne calda e morbida, le tette dure ed il resto…”

“Sarà così, non lo metto in dubbio”, pensò tra sé Ciro,” ma in cinque minuti al buio cosa avrà mai visto e toccato!”

Ritornati al circolo, mentre Alex si dilungava con gli amici nella cronaca dell’accaduto e nella descrizione particolareggiata delle beltà di Regina, nelle orecchie di Ciro ritornava con ossessione la frase detta dalla piccola prostituta e più Ciro la risentiva più si sentiva offeso nel suo orgoglio virile. “Ha dubitato della mia virilità, insultandomi con quell’epiteto volgare!” Non poteva lasciar perdere.

Decise che doveva vendicarsi e scelse una soluzione che gli avrebbe permesso di risolvere due sue esigenze. Appagare il desiderio di stare con lei che gli era venuto fin da quando l’aveva immaginata con lo zio, e quella di soddisfare la voglia di vendetta che sarebbe consistita nel dirle, dopo, “Non mi sei piaciuta”.

Per attuare il piano occorrevano, però, mille lire e Ciro al momento non le possedeva. Decise perciò di non spendere la paghetta per alcune settimane. Al bar accusava mal di stomaco per non spendere per il caffè; se gli amici andavano al cinema, diceva di averlo già visto in precedenza quel film.

In un mese mise da parte la somma necessaria ma non si decideva ad attuare il suo piano. Una sera doveva studiare, un’altra non si sentiva in forma, poi confessò a se stesso che era solo paura e timidezza. Sei un pavido si disse guardandosi allo specchio, domani andrai di sicuro.

Il giorno dopo era veramente deciso a portare a termine l’impresa. Tornando dalla scuola vide tutti gli amici del gruppo radunati nella sartoria di Salvatore anche se era un’ora insolita per un raduno.

Entrò nel negozio baldanzoso deciso a comunicare finalmente a tutti che era giunto il giorno della vendetta.

Appena entrò Mario, senza nemmeno rispondere al saluto, gli disse :”L’hanno uccisa!”. Alex aveva gli occhi lucidi.

Avevano assassinato Regina.

Le indagini si indirizzarono in un primo momento verso il movente della rapina; poi in pochi giorni si appurò la verità.

Uno dei clienti tra i molti che di lei si erano follemente innamorati, l’aveva accoltellata al suo ennesimo rifiuto di lasciare la strada e di andare a vivere con lui.

“Io per lei”, confessò l’assassino “avevo perso la testa ed ero disposto a lasciare anche mia moglie ma lei mi ha riso in faccia dicendomi che mai sarebbe vissuta con uno come me, un morto di fame che non era nemmeno capace di soddisfarla fisicamente anzi impotente. Piuttosto con chiunque altro. Dire questo a me che per lei …per lei.. Mi ha troppo offeso e provocato. Ha meritato quello che ha avuto.”

Il bel nome di Regina non era valso ad allontanare da lei la cattiva sorte.

Giovedì, 02 Giugno 2022
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