Sopra, puoi vedere il percorso della pagina che si sta visualizzando e consente di risalire al livello superiore
Sotto, questa sequenza di lettere (Alpha Index) è una sorta di indice del nostro sito:
cliccando su ciascuna lettera si possono vedere tutte le pagine il cui titolo comincia con quella lettera.

Il Mese Mariano

 

  2019 Mese Marianoil Mese Mariano      

By Antonio Abbate

 Verso le cinque del pomeriggio le donne cominciavano ad arrivare nel palazzo di donna Rosina. Sostavano nell’androne lastricato con basoli levigati da un secolare calpestio, tenendosi lontano dal grande portone di legno per non ungersi col grasso che colava in ogni direzione  dai cardini, dalle serrature, dai chiavistelli e da tutte le parti ferrose di cui si componeva, lubrificati senza risparmio.

I bambini che erano giunti assieme alle loro mamme, andavano in giro a esplorare ogni angolo dell’ampio cortile, entrando nei locali e nelle stalle in disuso. Oppure si divertivano come fossero al Luna Park, dondolandosi attaccati ai rami di una bassa palma o avvinghiati ai paletti di legno della cancellata della cantina interrata, si facevano sospingere avanti e indietro.

Si tenevano lontani solo dall’albero di limoni poiché sapevano che toccare anche solo un limone scatenava il risentimento della proprietaria che teneva tantissimo ai preziosi agrumi da lei utilizzati per realizzare il limoncello con cui chiudeva ogni pasto domenicale.

Quando il gruppo di pie donne diveniva abbastanza folto, partiva il richiamo convenuto verso la padrona affinché scendesse per guidare il Rosario. La signora per affacciarsi doveva scavalcare l’ammasso di piante e vasi da fiori che ostruiva il lungo e stretto balcone che circondava tutto l’appartamento.

C’erano gelsomini rampicanti che si intrecciavano ai montanti della ringhiera, gerani zonali e parigini che riversavano all’esterno cascate di fiori e foglie, piante sempreverdi a foglie lunghe, a foglie larghe , a steli legnosi e foglie a ombrello, piante succulenti e spinose.

Donna Rosina riusciva a con fatica a sporgersi dalla ringhiera solo con la testa e rispondeva : “Scendo”.

Spettava a lei guidare il Rosario perché era la più anziana, la più pia, la sorella del prete e la più caritatevole.

Nessun mendicante entrato nel palazzo per chiedere l’elemosina andava via senza aver ricevuto una monetina.

“ ‘Nfresca a l’anema ‘e tutt’ e muorti vuosti” (sia di rinfresco all’anima di tutti i morti vostri) dicevano a voce alta i mendicanti in una pronuncia fluida e sonora, quasi una nenia, supponendo che tutti i morti di Rosina stazionassero temporaneamente nelle fiamme del purgatorio.

Trattandosi di rinfrescare le anime del purgatorio, Rosina non lesinava l’elemosina.

Calava con la funicella il paniere di giunchi dal balcone e diceva : “ Tié bellommo” (prendi bell’uomo).

Scesa in cortile faceva inutilmente alle mamme la solita raccomandazione : “ I vostri figli teneteveli attaccati alla gonna che nel cortile fanno un manicomio”.

Quindi usciva sulla via attraverso il basso passaggio pedonale del portone (“Abbassate la testa” raccomandava sempre) seguita dallo stuolo di donne e bambini e si avviava verso” la madonnina”, una piccola cappella votiva che sorgeva fin dai tempi antichi in aperta campagna, oggetto di venerazione dei paesani. Di questa piccola costruzione sacra si sconosceva quando e chi l’avesse edificata e questa circostanza insieme a fantasiosi racconti di guarigioni e apparizioni di esseri alieni, l’avvolgeva di mistero. Si ipotizzava finanche che fosse stata costruita da uno stuolo d’angeli operai dalla sera al mattino. E c’era chi giurava di averli visti!

La parte lastricata di “via della Madonnina” terminava proprio davanti al palazzo di Rosina, dove iniziava la strada in terra battuta che portava nella campagna.

Il primo tratto era racchiuso tra due alti muri di tufo, quello del giardino di Rosina e quello che recintava il “giardino delle signorine” . Non a caso veniva definito in tal modo poiché tra i proprietari figuravano quattro sorelle anziane e nubili, signorine, rimaste tali non avendo trovato uomini del loro stesso rango.

Erano le sorelle Borella che vivevano insieme all’unica Borella sposata con il ricco e calvo avvocato Lateca, nel gigantesco palazzo, quasi una fortezza, di cui il giardino era una ricca pertinenza.

Tra le signorine, la più cara al popolino era la più anziana, la più bruttina, la più taciturna, la meno intelligente ma la più utile alla gente che a lei ricorreva quando una gallina non riusciva ad espellere l’uovo. La signorina Lorenza era l’unica che, con grande maestria, sapeva operare recuperando l’uovo intero senza danneggiare l’apparato ovopositore della gallina.

Alla fine di questo primo tratto di strada per fare cessare il chiacchiericcio, donna Rosina richiamava l’attenzione di tutti esclamando: ” Adiutorium nostrum in nomine domini” e attaccava con il primo mistero.

Lo sguardo, già da quel punto della strada, spaziava per l’aperta campagna e la stradina si inoltrava tra poderi recintati da filo spinato interrotto solo nei piccoli varchi lasciati per il passaggio dei carri.

Ai due lati della strada verso le recinzioni, due prode rialzate erano rigogliosamente ricoperte di erba e fiori di campo.

Nei poderi si alternavano pescheti a coltivazioni di fragole piccole e profumate; campi di frumento a piantagioni di canapa già in quel mese verde e alta, quasi pronta per la raccolta.

Grandi noci piantati in un filare lungo la strada, a notevole distanza l’uno dall’altro, di tanto in tanto ombreggiavano il cammino.

Dopo un paio di decine di “Ave Maria”, i bambini cominciavano a dare segni di insofferenza. Iniziavano spintoni, risate sommesse, sberleffi reciproci fino a che Rosina perdeva la pazienza e li richiamava aspramente terminando la paternale con la greve minaccia: “con questo comportamento andrete a finire a “casariavulo” , intendeva all’inferno, ottenendo con queste parole un momentaneo ravvedimento.

La fine del Rosario coincideva con l’arrivo nei pressi della cappellina. L’ultima “ave” si recitava mentre si attraversava “’o punticciullo” (il ponticello); un’arcata su un canale di acque reflue che pure aveva il fascino di un fiume con i suoi gorghi, le cascatelle, il gorgoglio delle acque fluenti e le alte ripe dense di rovi e arbusti di ogni genere.

Le litanie dei santi si recitavano fuori dalla chiesetta nella quale si poteva entrare solo a piccoli gruppi per rendere omaggio alla Madre Santa raffigurata , in verità, in modo piuttosto approssimativo da uno sconosciuto e inesperto pittore.

Seguiva a chiusura del rito un bel canto, scelto da donna Rosina nel suo ben fornito repertorio.

Ciro, il nipote di Rosina, apprezzava molto l’inno dedicato da Bartolo Longo alla Vergine di Pompei; la cugina invece quello in cui si paragonava Maria all’aurora, al sole, alla luna, agli astri che superava in bellezza; Enzina amava ascoltare il canto in cui alla melodia dei soprani faceva da contrappunto la voce dei contralti creando sonorità suggestive.

Il ritorno era una passeggiata in libertà. Le donne unitesi in piccoli gruppi spettegolavano di casa, mariti, amiche e conoscenti; Rosina ricordava alle più assidue le funzioni domenicali raccomandando loro di non mancare.

I bambini e i ragazzi si disperdevano in varie attività. C’era chi catturava i coleotteri dalla sgargiante livrea con splendidi riflessi metallici, posati sulle foglie di canapa. I piccoli cacciatori rinchiudevano le delicate prede nelle scatoline di alluminio della magnesia San Pellegrino con cui erano stati purgati; scatoline a forma di esagono irregolare su cui era effigiato , di colore marroncino, un vecchio frate ingobbito sul suo bastone. Alcuni affrontavano il rischio di graffiarsi o di procurarsi uno strappo a una manica della camicia e infilavano il braccio tra il filo spinato delle recinzioni dei campi di fragole per appropriarsi di qualche frutto.

Ciro tirava la coda di cavallo, corvina e lucida, a Enzina e poi scappava lontano delle donne per farsi rincorrere. Quando si riteneva abbastanza fuori vista si lasciava raggiungere dalla ragazzina e avutala vicina, la abbracciava. Lei consenziente lo lasciava fare.

Una volta alcuni ragazzi entrarono nel pescheto e asportarono qualche frutto. Malauguratamente furono sorpresi dal padrone, un uomo temuto per il suo aspetto feroce, detto “il magone”. Questi li inseguì fin sulla strada e li avrebbe presi se non fosse stato fermato da un alt imposto da Rosina con la mano alzata. L’anziana signora ricordava quelle illustrazioni dei libri scolastici nelle quali si raffigurava il Papa che blocca Attila. “Lasciateli stare questi piccoli “galioti” (galeotti).” gli disse; “ ci penserò io a convincere i genitori a punirli lasciandoli per una sera a pane e acqua”. Poi rivolta ai colpevoli: “volete proprio andare a casariavulo?”.

Il Magone o per rispetto di donna Rosina o ritenendo di averli spaventati a sufficienza, ritornò sui suoi passi minacciando però nuovamente quei temerari: “sappiate che se vi prendo , mi farò per cena la vostra testa con le cipolle”.

Giunti alla recinzione del giardino di Rosina, il gruppo sostava per ringraziare la loro guida spirituale. Nel muro c’era una breccia aperta da qualcuno che abitualmente entrava di soppiatto nella proprietà per compiere piccole ruberie di frutta e verdura.

“Dovrò far riparare questo muro” ripeteva ogni volta Rosina “ma giacché c’è, ne approfitto” e rientrava a casa attraverso quell’ingresso abusivo.

Dal giardino si spandeva un piacevole profumo di rose e fiori d’angelo tanto intenso da soverchiare l’afrore del cumulo di letame quasi addossato al muro, nella confinante campagna di Biasino, fratello di Orazio di Carmine.

Giovedì, 02 Giugno 2022
Questo sito utilizza cookies per garantire le proprie funzionalità ed agevolare la navigazione agli utenti, secondo la privacy, copyright & cookies policy.
Cliccando "OK" o proseguendo nella navigazione l'utente accetta detto utilizzo.