Sopra, puoi vedere il percorso della pagina che si sta visualizzando e consente di risalire al livello superiore
Sotto, questa sequenza di lettere (Alpha Index) è una sorta di indice del nostro sito:
cliccando su ciascuna lettera si possono vedere tutte le pagine il cui titolo comincia con quella lettera.

L' emigrante

L ' emigrante 

                                     2020 LeChiccheEmigrante3

 by Antonio Abbate

 

L’asino aveva ragliato per tutta la notte, un raglio violento, acuto, disperato che aveva svegliato Saro che non erano ancora le tre e non gli aveva più consentito di riprendere il sonno interrotto 2020 LeChiccheAsino1

                                     
“Cosa avrà quest’asino, forse è in calore” pensò e si impietosì per la condizione del povero Riccio, così chiamato per un ricciolo di peli al principio della criniera, che non poteva soddisfare le sue esigenze fisiologiche non avendo una compagna.
Gerolamo Litrasi, il proprietario dell’asino, che pure lo trattava con i guanti bianchi, non aveva capito che anche gli asini hanno le loro esigenze affettive e fisiche.
Giunse faticosamente il mattino e l’asino ancora ragliava seppure con minor vigore.
Saro, benché non fosse ancora spuntato il sole, decise di recarsi dal suo vecchio vicino, amico e lontano parente, per accertarsi che tutto procedesse normalmente sebbene la notte fosse stata accompagnata dalla colonna sonora del ragliante Riccio. 
Si avvicinò alla cancellata di assi di legno che dava accesso e limitava la proprietà e lo chiamò varie volte a voce alta. Non avendo ricevuta alcuna risposta, entrò  dirigendosi direttamente alla stalla.
La porta era solo socchiusa e con una leggera spinta si aprì.
Capì immediatamente che l’asino non ragliava per amore ma per fame e per il disagio di trovarsi in una condizione a cui non era per niente abituato.
L’animale era legato alla greppia a briglia corta, modalità utilizzata di giorno e non di notte per la quale era necessario utilizzare la briglia lunga per consentirgli di distendersi sullo strame.
La lettiera era insudiciata dalle fatte, il secchio dell’acqua asciutto, il sacco senza avena né carrube, leccornia con la quale Gero omaggiava il suo asino ogni giorno, la mangiatoia senza fieno. Una situazione di abbandono nella quale mai il vecchio avrebbe tenuto Riccio, nemmeno per un’ora. Per lui era più di un amico, un fratello.
Saro giustamente si allarmò e temette che fosse accaduto a Gero qualcosa di grave. Uscì di corsa dalla stalla e entrò in casa dell’amico chiamandolo nuovamente a gran voce.
Non ottenuta risposta neanche questa volta, ritornò nella stalla per ispezionarla più attentamente.
Non impiegò molto a rinvenire Gero riverso dietro le balle di fieno con gli occhi sbarrati fissi nel vuoto.
Il vecchio se n’era andato per sempre in solitudine con discrezione come era vissuto, senza provocare ad altri alcun disturbo se non il raglio notturno di Riccio.
Gerolamo era nato in quel podere e lì aveva trascorso la fanciullezza, la prima giovinezza e infine la vecchiaia. Fin da ragazzo si era appassionato ai lavori agricoli. Fare il contadino era per lui una vera passione. Amava ogni albero, ogni animale, ogni zolla del suo podere e mai avrebbe lasciato quel lavoro se non vi fosse stato costretto.
Proprio nel giorno del suo ventunesimo compleanno suo padre gli fece questo discorso: “caro figlio mio, ormai hai l’età per mettere su famiglia, ma quel che ricaviamo da questa terra avara non è già sufficiente a mantenerci; figurati se potrà sostenerne una nuova famiglia. Poi ci sono le tue sorelle da maritare ed occorrono soldi per dotarle altrimenti nessuno se le piglia. Tanti giovani paesani vanno al Nord a lavorare in fabbrica; hanno stipendi sicuri e vivono da signori e riescono a mandare anche qualche soldo a casa per le necessità familiari”.
Gerolamo, con la morte nel cuore, lasciò la casa, la terra, la famiglia, i suoi animali che tanto amava e con un fagotto di panni, prese il treno per Milano.
Per lui non era un addio ma un arrivederci perché mai dubitò che prima o poi sarebbe ritornato.
Erano anni di boom economico e le industrie si contendevano la mano d’opera andando ad accaparrarsi gli operai fin sulle banchine della stazione centrale.
 Così avvenne per Gero. Il tempo di lasciare i binari e fu avvicinato da un signore in tuta da operaio con su un eschimo verde.
In testa un cappellino con visiera recava il nome di una famosa industria. 
Accertatosi che Gero era alla ricerca di un lavoro, gli consegnò un foglio sul quale erano specificate le tipologie di lavori per i quali si cercava mano d’opera, l’ubicazione dello stabilimento, i mezzi di trasporto per raggiungerlo e gli orari dei colloqui per l’assunzione.
Il giorno dopo, Gerolamo si presentò in fabbrica a Sesto san Giovanni, in anticipo sull’orario indicato sul volantino per precauzione, temendo che altri gli portassero via il lavoro.
Un breve colloquio mise a fuoco la scarsa cultura scolastica ma anche e soprattutto la sua gran voglia di lavorare nonché una buona intelligenza. Fu ammesso al corso di preparazione al termine del quale fu assegnato all’officina e non alla catena di montaggio. 2020 LeChiccheEmigrante
 
Attento, assiduo, instancabile conquistò la stima dei superiori che riconosciute le sue doti caratteriali, lo scelsero spesso per frequentare corsi di aggiornamento che gli furono utili per progredire in carriera.
Erano anni di violente agitazioni sindacali che Gero non riusciva a comprendere.
Perché gli operai urlavano e si rivoltavano contro i padroni? Lui per riconoscenza mai sarebbe andato contro chi gli dava stipendio e alloggio. Mai, perciò, partecipava agli scioperi, sopportando con rassegnazione insulti e minacce degli scioperanti. Viveva, per risparmiare, nelle baracche di legno predisposte per gli operai; accumulare danaro sarebbe divenuto il suo principale obbiettivo. Spesso si immalinconiva in quegli alloggi rozzi e disadorni, sovrastati da un cielo nero per le nuvole di fumo che uscendo dalle ciminiere andavano a formare una barriera nera che non lasciava passare i raggi del sole.
Aveva un desiderio: abitare almeno in un luogo dove dare sfogo, nel tempo libero, alla sua natura contadina. Quando lo chiamavano spregiativamente terrone, non si risentiva anzi pensava che il termine gli si addiceva a pennello perché amava profondamente la terra, non il pianeta ma proprio il terreno quello della sua campagna della quale aveva tanta nostalgia.
Desiderava sdraiarsi in un solco della sua campagna dopo l’aratura per respirare l’umido profumo fungino della terra rivoltata. Desiderava risentire il brulichio degli insetti che vi abitano; percepire le vibrazioni frenetiche dei semi gonfi desiderosi di lasciare uscire il germoglio.
Così, appena gli proposero di abitare gratuitamente nella dipendenza di una grande villa circondata da estesa campagna in cambio della sua opera di giardiniere, accettò subito con entusiasmo.
“Adesso ho l’orto che mi mancava tanto e sono felice” scrisse ai suoi genitori. 
Quando era libero dal lavoro si recava nel piccolo suo appezzamento e colloquiava con esso: “amo anche questa terra anche se non è la mia”.  Gerolamo amava ogni terreno; l’amava e rispettava come sacro generatore di vita.  “Si deve amare e rispettare la campagna – diceva - è essa come il grembo della donna, come questo genera  vita.  Il grembo femminile genera la vita dando alla luce un bambino; la terra genera tante vite diverse. Con questo sentimento guardava con affetto le piante di cavolo ammirandone le larghe foglie grigio piombo, i piccoli rapanelli verde smeraldo con la radice gonfia e vermiglia; i grovigli dei rami delle zucche con i frutti appoggiati al suolo, verdi o striati di arancione lunghi e pesanti come un bambino”.
Talvolta alcuni colleghi, quelli ignoranti e razzisti, lo chiamavano anche “Napoli” per la sua origine meridionale. Rimaneva perplesso e senza indignarsi rispondeva acutamente: “perché non mi chiami Palermo visto che sono siciliano”?.
Essendosi imposto di risparmiare spendeva il meno possibile. Pranzo in mensa e cena a casa con i prodotti dell’orto; mai in ristorante mai una pizza. Non frequentava bar, balere e locali di svago. Si concedeva ogni tanto un film al cineforum parrocchiale perché l’ingresso era a offerta libera. Lui dava pochissimi spiccioli e anzi, il più delle volte, affermava di non avere momentaneamente monete e che avrebbe dato una maggiore offerta alla prossima occasione, già sapendo che se ne sarebbe dimenticato.
Abituato da contadino a lavorare dall’alba al tramonto quando non era impegnato in fabbrica, pur coltivando l’orto, gli restava ancora tempo libero che gli sembrava di sprecare. Decise, perciò, di impegnarlo mettendo in vendita i prodotti del suo orto su una bancarella sulla strada nei pressi dell’abitazione.
Dopo aver trascorso alcuni anni di lavoro in fabbrica acquisì una discreta conoscenza di meccanica e di elettricità. “Perché la gente buttava via tanti piccoli elettrodomestici che si potevano riparare?”. Intraprese anche la nuova attività di riparazione di piccoli elettrodomestici. I primi clienti furono i conoscenti, poi gli acquirenti delle sue verdure. 
Col salario di operaio specializzato capo officina, la vendita di ortaggi, la riparazione delle piccole macchine, Gero metteva da parte ogni mese una bella somma.
Cosa agli mancava? L’asino, animale al quale era stato particolarmente affezionato.
L’avrebbe acquistato se i proprietari della villa non gli avessero opposto con cortesia  e decisione un netto rifiuto. In sostituzione, riconoscenti per i suoi servizi, gli regalarono un’Ape di seconda mano, con la carrozzeria di colore grigio scuro come il mantello di un asino, che Gero utilizzò per raccogliere a domicilio e poi restituire riparati gli elettrodomestici. Servizio che fu molto apprezzato e che gli accrebbe molto il numero dei clienti. 2020 LeChiccheApecar2
 
“Manda un po’ di soldi per la tua prima sorella che va a nozze; però non scendere giù perché si imbarca per l’Australia e lì sposerà il figlio di compare Alfio”. Glieli inviò subito. Per questi scopi accumulava danaro.
L’anno dopo ebbe la stessa richiesta per la seconda sorella.
“Però, concludeva il padre, non venire perché il marito resta in Germania e il matrimonio lo farà col fratello dello sposo per delega”.
Gero, a questa notizia, si allarmò. Ne andava l’onore della famiglia. Ma come si sposa con uno e poi va da un altro?
Fu l’unica volta che telefonò al padre anziché scrivergli e suo padre gli spiegò che non c’era nulla di male. Lo consentiva la legge il matrimonio per procura e col fratello delegato tutto finiva con la cerimonia in chiesa.
“Devo ritornare giù” si ripeteva ogni anno Gerolamo e intanto restava su. In quarant’anni ritornò al suo paese di origine solo due volte, per la morte dei genitori. Intanto che accumulava danaro con le molteplici attività che svolgeva, danaro che investiva in immobili, il tempo inesorabile scorreva e giunse anche per lui la pensione. In ditta fecero una grande festa collettiva per tutti gli operai che in quello stesso anno lasciavano la fabbrica. Uno dei capi fece un bel discorso che quasi gli venivano le lacrime agli occhi e gli appuntò su una giacca consunta una medaglia dorata e con quella Gero andava in giro perché tutti la potessero vedere.
Non aveva messo su famiglia e nemmeno aveva allacciato solide amicizie. In fondo a Sesto, a cui pure era riconoscente per il lavoro che gli aveva dato, si era sentito sempre ospite anche se l’ospitalità era durata una vita. 
Di soldi ne aveva accumulati tanti ma non se li era goduti né se li godeva.
Avrebbe potuto viversi una serena vecchiaia. Sesto e Milano offrivano svaghi, cultura, centri di aggregazione ma lui era sempre rimasto estraneo a teatro, concerti, ristoranti, balere, circoli. Per queste cose non aveva mai speso e continuava a non spendere. La sua parsimoniosa vita, venuto meno il lavoro, diventava sempre più triste e noiosa finché capì che sarebbe stato veramente felice solo se avesse riavuto la sua campagna, l’orto e un asino.  
Decise così definitivamente dove avrebbe trascorso l’ultimo tratto del suo cammino.
Caricò su un camion la sua Ape color asinello, una quantità di elettrodomestici riparati e da riparare, le altre sue cose personali e fece ritorno alla sua campagna per riprendere la vita che per necessità aveva interrotta quarant’anni prima.
Il primo atto fu l’acquisto di Riccio ad una fiera. Fu amore a prima vista perché l’asino appena lo vide si mise a ragliare guardandolo negli occhi.
Impiantò l’orto, costruì gabbie per polli e conigli e un recinto per la capra e il maiale. Ora non spendeva un soldo neanche per il cibo essendo autosufficiente.
Ogni tanto controllava il libretto postale che si rimpinguava e si sentiva realizzato.
Sentendosi solo in casa sua di notte, si preparò un giaciglio nella stalla e trascorreva con l’asino, il suo più caro amico, le nottate estive.
Il furgoncino lo abbandonò sull’aia dove divenne abitacolo di ragni e moscerini e alloggio preferito di una gatta randagia bianca dalla coda mozza che regolarmente vi partoriva i suoi gattini.
Di tanto in tanto si concedeva un unico svago: andava in giro per il paese con il suo asino a raccoglier robe vecchie che stipava inutilmente nella sua casa in attesa di un futuro utilizzo che mai si verificava.
Le cose raccolte le inseriva in un sacco che portava a spalla.
La gente meravigliata gli diceva “Hai un asino e ti spacchi la schiena a portare questo sacco?”.  “Riccio ha già lavorato abbastanza nel campo” rispondeva carezzando la testa del mansueto animale.
Dopo la dipartita del vecchio, povero, solitario zio Gerolamo, si scoprì che il contadino vissuto parcamente e che appariva quasi in miseria, era in realtà un benestante con depositi postali ingenti e proprietà immobiliari anche a Milano. Sorsero allora come funghi in ogni dove, nel paese, in Sicilia e all’estero parenti veri e presunti che avanzarono pretese ereditarie.
Niente ottenne nessuno dei presunti parenti perché previdentemente Gerolamo in un testamento fatto alla presenza di un notaio aveva nominato erede universale, l’unica persona che gli era stata vicina in vecchiaia, Saro di cui si fidava ciecamente. A questi infatti affidò anche un importante incarico. Avrebbe dovuto occuparsi diligentemente di Riccio per il quale doveva allestire un ampio recinto ad uso esclusivo dell’asino. Inoltre Saro doveva cercare per riccio una degna compagna giovane, bella e della stessa razza e mai avrebbe dovuto sottoporre a fatiche di aratura e trasporto i due asini e la loro eventuale prole. 2020 LeChiccheContadino Asino1
 
 
Giovedì, 02 Giugno 2022
Questo sito utilizza cookies per garantire le proprie funzionalità ed agevolare la navigazione agli utenti, secondo la privacy, copyright & cookies policy.
Cliccando "OK" o proseguendo nella navigazione l'utente accetta detto utilizzo.