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La ricerca della felicità - 1° parte

2021felicita2bis

(by Antonio Abbate)

 

A quanti appuntamenti sono andato in gioventù, tutti incontri cercati sul web. Di persona avevo difficoltà ad approcciarmi; protetto invece, almeno inizialmente, dall’anonimato vincevo la timidezza e mi lanciavo in discorsi e proposte che riscuotevano spesso un momentaneo successo. In qualche occasione ho anche affrontato un lungo speranzoso viaggio per incontrare una donna.

Di quegli appuntamenti nessuno andò a buon fine perché nacque sempre un conflitto inconciliabile per gravi divergenze di opinione con quelle ragazze pescate nel web o perché mai fummo colpiti dal dardo scagliato da Cupido.

Stanco di combattere contro la sfortuna in amore smisi di programmare incontri galanti.

Capitò poi per caso che la conobbi, Sveva.

Era un giorno perfetto per gli incontri sentimentali; era scritto nel mio oroscopo.

Ero andato in libreria a comprare un libro e scelsi una raccolta di racconti.

Avevo appena ritirato lo scontrino che voltandomi incontrai due occhi luminosi e una fluente chioma mora.

Lei mi sorrise: “Ha comprato lo stesso libro che ho scelto io” mi disse.

Le risposi “L’autore l’ha scritto proprio per farci incontrare.”

Familiarizzammo. Era ora di pranzo e l’invitai a sederci al tavolino di un bar per una consumazione. Lei accettò con entusiasmo. Io ordinai un tagliere di salumi e una birra. Lei solo un frutto esotico, un mango e un bicchiere di acqua naturale.

Ci scambiammo il numero di telefono e ci lasciammo a malincuore decidendo di rivederci al più presto.

Fu poi lei a chiamarmi. Risposi allegramente “prontissimo”.

Lei invece mi raggelò con poche parole: “Io sono vegetariana – mi disse. Ho riflettuto e ho capito che non sopporterei un compagno che mangia taglieri di salame e prosciutto”. “Allora… Addio” le dissi triste e deluso e riattaccai.

Trascorsi alcuni anni senza tentare alcun approccio memore degli insuccessi del passato.

Poi avvenne quello che a me sembrò un miracolo.

Ero stato trasferito in un altro ufficio, uno importante, ai piani alti dove per improvvisa malattia di un collega era venuto a mancare, da un giorno all’altro, il dirigente.

Non sapevo perché ma avevo timore ad assumere quell’incarico; non per le responsabilità che mi sarebbero piovute addosso. Sapevo come affrontarle ma avevo come un presentimento che mi turbava.

Non mi sbagliavo. Capitai infatti in un gruppo di sole donne, un covo di vipere.

Mi odiarono, senza un motivo apparente e senza conoscermi, fin dal primo giorno.

Bisognava che stessi sempre in allerta perché erano abilissime a cogliere ogni occasione per mettermi in cattiva luce e screditarmi di fronte ai capi supremi.

Al momento del mio insediamento una delle impiegate non era presente; era in congedo per malattia per un piccolo intervento chirurgico. Mi sembra a un gomito; giocava a tennis.

Mi si presentò ancor prima di esaurire il periodo di malattia dicendo che era ansiosa di conoscermi. Mi mise in guardia dal primo giorno contro le colleghe pettegole e infide, offrendomi la massima collaborazione. Lei sapeva bene quanto sarebbe stato difficile per me subentrare, all’improvviso, al collega in un lavoro delicato del tutto diverso da quello che per anni avevo svolto.

In fretta andò anche oltre un’assidua collaborazione. Prese a telefonarmi quotidianamente a casa per informarmi tempestivamente delle malefatte e delle trame delle colleghe. Presto mi chiese di darci del tu e terminava le telefonate dicendo “un bacio”; dal telefono mi giungeva un piccolo schiocco.

Quando riprese servizio, dopo qualche giorno, mi chiese se poteva spostare la sua postazione nella mia stanza. Mi stava già molto simpatica. Non seppi dire di no.

Mentre mi era di grande aiuto nel lavoro, il suo atteggiamento diveniva sempre più confidenziale.

Incontrando il mio sguardo, mi sorrideva e mi inviava un bacino stringendo e allungando le belle labbra carnose.

Quando bisognava esaminare insieme una pratica, non si sedeva di fronte a me dall’altra parte della scrivania; mi veniva vicino, ma tanto vicino da appoggiarmi una bella parte del suo corpo su una spalla. Passandomi accanto mi sfiorava con una mano per farmi una carezza furtiva.

Ero orgoglioso; grazie alla confidenza accordatami da Laura, avevo ripreso sicurezza con il gentil sesso.

Mi compiacevo con me stesso: “Dopo tutto, un discreto fascino ce l’ho anch’io”.

Lei, Laura era proprio bella.

Venne il tempo in cui si doveva preparare il grande convegno. Una manifestazione pomposa e retorica ricorrente annualmente e alla quale partecipavano, invitate formalmente, le principali cariche istituzioni cittadine e nazionali.

“E’ molto difficile questo lavoro” mi disse.

In effetti bisognava essere padroni del cerimoniale e della prassi, non bisognava scontentare i VIP (tutti permalosi), sapere chi contattare, chi invitare, dove far sedere l’uno piuttosto che l’altro al giusto posto loro spettante, secondo il cerimoniale. Le persone di alto rango non rinunciano mai ai loro privilegi. Anzi ti fanno pagare ogni minimo errore anche involontario.

Lei aveva in questo tipo di organizzazione una buona esperienza avendo collaborato per più anni col mio predecessore.

Iniziammo insieme a programmare l’evento, poi lei, altruista, mi propose: “Di lavoro ne hai fin sopra i capelli. Per quest’anno posso occuparmene io, sotto la tua supervisione. Naturalmente risulterà che sei tu ad organizzare”.

Che gentile, che disponibilità, che proposta allettante!

Accettai non solo per la convenienza ma anche, lo confesso, perché avrei acconsentito ad ogni sua richiesta; lei lo sapeva.

Era riuscita col suo comportamento, con le sue moine, con i suoi vezzi a ridurmi in uno stato tale che le avrei ceduto anche la mia scrivania e avrei preso il posto del suo poggiapiedi.

Lavorò alacremente ancora per qualche giorno insieme a me.

Una mattina poi raccolse tutte le sue cose e, a mia insaputa, con l’aiuto degli operai traslocatori, trasferì tutte le sue suppellettili in un’altra stanza.

Era riuscita, credo con gli stessi metodi utilizzati con me, ad ottenere subdolamente, con l’appoggio di un personaggio influente, che pure circuiva (lo venni a sapere successivamente), un ufficio tutto per sé, per portare occuparsi autonomamente dell’arduo incarico che era riuscito a strapparmi e a presentarlo come un suo lavoro.

Nonostante questo inganno me ne sentivo ancora attratto e spesso andavo a cercarla nel nuovo ufficio. Laura era troppo donna, io ero troppo preso e scemo. La invitavo al bar nella pausa pranzo come nulla fosse accaduto.

Man mano con premeditata gradualità lei mostrò insofferenza nei miei confronti e mi fece capire di non gradire più la mia presenza. “Sono sposata, la gente mormora, e poi ho tanto da fare; che bel regalo che mi hai fatto!”.

Regalo? Io? Ma se me lo aveva strappato quell’ incarico mettendo in campo tutta la sua malizia e il suo fascino!

Mi resi finalmente conto di essere stato fregato e non dalle vipere ma da un mamba nero.

Questa ennesima esperienza deludente non mi fu però del tutto inutile.

Da Laura appresi l’arte della seduzione e del corteggiamento.

Ancora offeso nei sentimenti e deluso sul piano lavorativo, feci di tutto per ritornare al vecchio incarico nel precedente ufficio.

Fui presto accontentato con grande gioia per le vipere e di quanti (una folla) miravano al posto lasciato libero.

Ero ritornato ad essere il direttore di un settore operativo comprendente più uffici.

Il potere, anche solo apparente, anche solo rappresentato da una qualifica, da un incarico, rende affascinante anche chi fascino non ha. E subito un buon numero di impiegate cominciarono a ronzarmi intorno. O forse mi illudevo, comunque non mi sentivo pronto per una nuova relazione.

Fino a quando entrando in uno degli uffici di un tempo, ritrovai Lucia, una mia vecchia conoscenza.

Ci eravamo incrociati nei primi anni di carriera. Io ero in servizio da soli due anni; lei appena arrivata dal sud.

Alta, snella, carnagione scura bronzea, giovanissima sposa, piuttosto bella. Aveva un piccolo difetto, se così vogliamo chiamarlo: un paio di baffetti degni di Aramis. Li schiariva con acqua ossigenata ma restavano più che evidenti.

Quando si seppe che era separata e che il marito era rimasto nella terra di origine, i suoi ammiratori crebbero come funghi, una folla.

Anch’io, trascinato dalla calca, mi feci avanti. Lei nemmeno mi guardò, a quel tempo troppo magro, timido, occhialuto, sempre troppo educato nelle parole e negli atti e senza potere.

Lei gradiva e cercava e concupiva i tipi muscolosi, spavaldi, sicuri, un poco buzzurri.

Con questi si accompagnava cambiandoli piuttosto spesso.

Quando, dopo anni, ci siamo rivisti, lei era più robusta, senza baffetti, risposata e mamma. Meno bella ma più seducente. Almeno così mi apparve.

Mi resi conto che ancora mi piaceva. La desideravo o forse desideravo rifarmi della umiliazione subita anni prima.

Applicai perciò il corteggiamento “metodo Laura”.

Le telefonavo ogni mattina appena giunto in ufficio, solo per salutarla, le dicevo e terminavo la conversazione dicendo come Laura: “un bacio”.

Con pretestuosi motivi la convocavo nella mia stanza chiedendole di portarmi questa o quella pratica. La facevo sedere accanto a me a contatto di braccio e di coscia e dopo aver finto di esaminare le carte assentendo esageratamente, la riempivo di complimenti e lodi per la sua abilità professionale e anche per la sua bellezza non sfiorita nonostante gli anni trascorsi.

Coglievo ogni occasione per sfiorarle una mano o il viso e poi assai di più in una escalation ragionata. Lei impassibile, forse gradiva, comunque non si ritraeva.

Fu lei che quando, non so come trovai il coraggio, osai un gesto più che audace, mi abbrancò e mi baciò con voluttà.

Con tanta foga da togliermi il respiro.

Iniziai così la relazione con Lucia. Durò poco perché ben presto mi venne a noia o fui preda di sensi di colpa: si era risposata con un mio collega anziano.

Non avevo però il coraggio di dirglielo in faccia e troncare. Accadde che la lasciai nella calura di agosto con una telefonata.

Lei, in vacanza con la sua famiglia, mi telefonava e mi tempestava di: “amore, mi manchi; non vedo l’ora che questa vacanza finisca per riabbracciarti”.

“Senti, le dissi, purtroppo ieri quel nostro comune amico che tu stimi tanto, mi ha fatto un discorso molto serio e sensato che mi ha messo in crisi. Ha saputo della nostra storia e mi ha aspramente rimproverato dicendomi: non dovevi mettere le corna a un collega, Lucia è madre amorevole, rischi di rovinare una bella famiglia”.

“Si, si, mi interruppe lei, irata e ironica, mi vuoi lasciare e non hai il coraggio di dirmelo! Tutti vigliacchi voi uomini, e bugiardi”.

L’amico chiamato in causa come censore era in vacanza con Lucia e la sua famiglia.

“Cretino, concluse, ti lascio io! Stupido non meriti quello che stai perdendo!”.

La traumatica conclusione di questa relazione, benché da me voluta, mi destabilizzò.

Non guardai più nemmeno di sbieco nessuna donna bella o brutta che fosse e mi giurai: “Basta donne, piuttosto mi faccio monaco”.

Frequentai incontri religiosi, ritiri spirituali predicati da monaci. Ben presto smisi; prevalse come al solito la mia incostanza ma influì anche la sensazione che quei discorsi tendenti a spiegare il divino, il trascendente; quei ragionamenti tendenti a dare razionalità al mistero, anziché accrescermi le certezze, dissipare i dubbi, infittivano la confusione della mia mente non eccelsa.

Come venne meno la decisione di vestire il saio, accantonai anche quella di non frequentare più le donne: “senza cercarle però, ma se capitasse”. 2021 Felicita3

                                                                                                   …………………seguirà 2°parte

 

 

Mercoledì, 02 Marzo 2022
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