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La ricerca della felicità - 2° parte

2021felicita2bis

(by Antonio Abbate)

 ……..........................................................................CONTINUAZIONE della 1°PARTE

 

 Capitò.

Sul mio piano venne a lavorare o forse già c’era ma per il delirio mistico, non l’avevo notata, Topazia.

Diversa da quelle donne conosciute da me fino ad allora, bassina, caschetto nero, carnagione chiara. Poche efelidi vezzose sugli zigomi, occhi verdi.

Quando sorrideva aveva un sorriso ampio accattivante e scopriva leggermente la gengiva dell’arcata superiore dei denti, un colore roseo delicato come i fiori di pesco.

Era molto sulle sue, educata, compunta. Quando parlava con me, suo superiore, teneva gli occhi bassi e il tono dimesso.

Aveva un fascino sottile, diverso che mi attirava.

Provai a farle qualche delicato complimento ottenendo solo che arrossisse leggermente le gote. Capii che era una ragazza seria e decisi di lasciar perdere.

Non me l’aspettavo. Un giorno entrò nel mio ufficio accompagnata da una sua collega più attempata. Apparivano entrambe emozionate.

Mi mostrai lieto della sua visita. Lei fu contenta della cordialità con cui le avevo accolte entrambe.

Quando le chiesi quale fosse il motivo che le aveva condotte nel mio ufficio, mi sorrise con quel dolce sorriso a gengiva rosea scoperta e chiarì che non erano venute per ragioni di servizio ma che solo volevano l’onore di prendere un caffè con me.

Non potevo essere scortese, noblesse oblige, accettai.

Quello del caffè divenne un rito che si ripropose identico per un mese, un paio di volte a settimana.

Ci incontrammo un giorno per caso in corridoio. Le dissi che a quel punto forse era giunto il momento di vederci fuori dall’ufficio e senza la presenza ingombrante di quell’angelo custode.

Speravo di condurla, mi illudevo, nel mio monolocale in affitto in cui abitavo sempre in solitudine.

“Con piacere, mi disse. Domenica mio fratello dà un balletto a casa mia e tu sei invitato. Ti assicuro che la mia collega non ci sarà”.

Non era proprio quello che speravo ma non potevo rifiutare un invito tanto cortese.

Mi presentai a casa di Topazia la domenica pomeriggio. Mi accolsero con onori immeritati, come fossi una grande autorità che li onorava di una visita.

Mi sentivo in forte imbarazzo e cercavo di spiegare che alla fin fine, prescindendo dai titoli più o meno altisonanti, non ero che un dipendente statale e non possedevo l’importanza che mi attribuivano.

Ma valli a convincere: “Il nostro dottore è troppo umile, si vuole sminuire, sappiamo cos’è”. Cos’ero? Boh!

Sotto gli occhi indagatori dei genitori siciliani ballai con Topazia tenendomi prudentemente a debita distanza, senza mai accostarmi al suo busto.

In continuazione venivano ad offrirmi dolci, gelati, bibite. “Grazie sono già a posto così; ho già gustato tanta cose buone”.

“Ma no, queste sono le cassatine mica quelle comprate ah, le ho fatte con le mie mani, non può offendermi con un rifiuto”. Ero costretto a mentire: “Fatte con le sue mani? Allora le mangio volentieri”.

Intanto mi presentavano tutti i parenti a cominciare dai nonni e fino ai cugini di secondo grado passando per cognati, compari e amici.

Al termine della festa ringraziai i padroni di casa e mi accingevo a salutarli con una grata stretta di mano, ma essi, afferratami saldamente la mano, mi attirarono a sé e mi stamparono sonori schioccanti baci sulle guance.

Topazia mi accompagnò sul pianerottolo, accanto all’ascensore. Sua madre presidiava l’uscio come un’ape soldato all’ingresso dell’arnia.

“Allora ciao e grazie”, le dissi. “Di niente” rispose. Le baciai amichevolmente le efelidi su uno zigomo; lei voltando il viso per porgermi l’altra guancia mi sfiorò furtivamente le labbra.

La frequentazione non si interruppe anzi continuò con maggiore assiduità.

Io la consideravo una brava e cara amica, lei forse qualcosa di più ma non me lo confessava.

Spesso mi invitava a pranzo o a cena. Io accettavo l’invito e lo consideravo una gentilezza e ne approfittavo. D’altra parte che alternativa avevo? Pranzare da solo nella tristezza del monolocale oppure nell’anonima mensa di qualche ente pubblico. Il ristorante mi sarebbe costato troppo.

Fu così che una calda sera d’estate, dopo cena a casa di Topazia, uscimmo sul balcone a prendere una boccata d’aria.

Non ricordo più con quale scusa lei si allontanò e rimasto solo fui agganciato dal padre.

“Permette una parola dottore?” “Certo ci mancherebbe”

“Allora…” Sembrava titubante ma fingeva; il discorso se l’era già preparato magari di concerto con la figlia.

“Allora, ci frequentiamo da tempo (voleva dire: vieni qui a mangiare a sbafo) e non so che rapporti ci sono con mia figlia”.

“Assolutamente corretti” lo rassicurai.

“Si ma non è questo; vi vedete anche fuori di qui e un padre vuole stare tranquillo, mi capisce ah; l’amore per una figlia è immenso e se succedesse qualcosa, non so come reagirei ah. Per l’onore di mia figlia, non so cosa potrei fare, potrei anche giungere ad atti estremi ah”.

Questo discorso volutamente nebuloso; questo dire e non dire, velatamente minaccioso, mi turbò, mi frastornò; non capivo dove voleva arrivare. Perché mi minacciava?

“Deve stare tranquillo. Io Topazia la rispetto. Verso di lei ho le più serie intenzioni”.

“Allora posso stare tranquillo” concluse frettolosamente senza darmi tempo per specifiche ulteriori.

Mi prese per mano e mi trascinò con forza in casa. Cercavo di opporre una blanda resistenza anche se non conoscevo ma temevo le intenzioni dell’uomo.

Erano tutti riuniti intorno al tavolo ancora apparecchiato, mamma, fratelli e Topazia.

Mancavano i nonni che sarebbero giunti a cerimonia ultimata.

“Silenzio, vi annunzio una grande gioia”. Non era l’elezione del Papa.

“Ho il piacere e la gioia e… Giorgio mi ha chiesto la mano di Topazia. Io sono onorato ma è lei che deve accettare, è lei che deve decidere per la sua felicità”.

“Accetto” sussurrò Topazia, il pudico sguardo rivolto al pavimento.

Temendo che non avessi udito i presenti esplosero in coro “Ha accettato! Ha accettato! Bacio, bacio, bacio”.

Io confuso dal rapido precipitare degli eventi, non sapevo che dire, che fare, ero impietrito.

“Non essere timido proprio adesso” mi disse il padre e mi spinse verso Topazia che mi accolse tra le sue braccia e mi baciò anzi ci baciammo.

Dopo un anno ci sposammo e raggiunsi finalmente la felicità.

Dopo il matrimonio Topazia cambiò da così a così. Sparita ogni timidezza, si mostrò determinata e volitiva, autoritaria e decisa. Programmatrice: prima la casa, poi due figli, poi l’auto bella, poi la casa per la vacanza, poi… Le sue priorità in ordine preciso, non trattabile. Mai sazia d’amore; ma solo fino alla nascita dei figli. Poi la passione per me si trasformò in esagerato amore materno. E più l’amore seguiva l’indirizzo dei figli, più si affievoliva verso di me. E’ naturale che sia così. Me lo ripeteva anche Topazia in continuazione, nel caso me ne potessi scordare.

Col tempo i nostri dialoghi si sono rinsecchiti, ridottisi a poche parole e argomenti.

“Dobbiamo fare la spesa; cosa mangiamo; hai pulito il box e la cantina”. Cose così.

Decide tutto lei. Qualche volta, gentile, chiede anche il mio parere, ma ha già stabilito di non prenderlo in considerazione. Passa molto tempo a colloquiare con le amiche al telefono o invitandole a casa. Se tento di intromettermi nei loro discorsi, Topazia mi invita ad andare a passeggio. Ci tiene molto alla mia salute e non vuol vedermi chiuso in casa.

Discute coi figli? Ci sono problemi? Mi invita a rilassarmi sul divano a leggere il giornale. Cerca di evitarmi ogni stress. Questo non è vero amore?

Tra poco ricorrerà il ventennale del nostro matrimonio. Ho trascorso già venti anni di felicità. Almeno così dice Topazia.

Con Topazia la tanto travagliata ricerca della felicità si potrebbe ritenere conclusa. C’è un però.

Topazia è una mamma perfetta, una casalinga inappuntabile, una moglie attentissima alla mia salute, al mio guardaroba. Piccolo neo: è diventata un’amante scarsa, quasi inesistente.

Con lei sono stato felice e sono felice. Lo afferma soprattutto lei.

La felicità, spesso mi chiedo, è qualcosa di definito; ha dimensioni stabilite uguali per tutti? Oppure la si può incrementare a proprio piacimento, insomma renderla più piena?

Da circa un anno ho una nuova segretaria, molto giovane e bella.

Ha almeno quindici anni meno di me. Una differenza di età che non mi permette di guardarla che come collega di lavoro. Abbiamo subito eliminato gli steccati che separano capo e subalterno. In ufficio manteniamo le distanze ma fuori c’è subito stata amicizia e simpatia. Ci confidiamo, io le chiedo consiglio e conforto per i miei problemi domestici, lei per i suoi.

Perché mi guardi così?

Perché sei bella.

E cosa pensi?

Penso: beato tuo marito!

Si, te lo raccomando! Per essere bello è bello, alto muscoloso, ma troppo ripiegato su se stesso. Tutto il tempo libero lo investe in palestra e nel calcetto con i suoi amici. Quando rientra è stanco, neppure mi guarda se non per chiedere cosa c’è a cena.

Dici che ti trascura? Una donna desiderabile come te?

Abbastanza, non ha più passione. Io, invece, adoro quegli sguardi intensi che traboccano di desiderio mentre percorrono tutto il perimetro del mio corpo. Uno sguardo come il tuo, per esempio.

Adesso sì che sono felice, penso di avere finalmente dato alla felicità le giuste dimensioni. 2021 Felicita3

Mercoledì, 02 Marzo 2022
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