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Un Sorriso

 UN SORRISO

by Antonio Abbate

L’acqua giallastra e limacciosa assaliva i piloni del ponte sferzandoli con violenza e schizzando spruzzi di schiuma fin sulla strada.  Rallentava per qualche attimo la sua corsa furiosa per defluire poi sotto le arcate dove si divideva in un flusso veloce sulla sinistra mentre sulla destra veniva risucchiata in un gorgo, un enorme imbuto dentro il quale rami, lattine, buste di plastica trasportati là dalla corrente del fiume, giravano vorticosamente come in un frullatore gigante.

Un uomo mal vestito, la barba ispida e una grande tristezza negli occhi neri, era appoggiato con i gomiti sulla balaustra del ponte e dirigeva lo sguardo attento ora sulla corrente impetuosa ora sul vorticoso mulinello. Nessuno avrebbe potuto riconoscere in quell’uomo, per come era ridotto, il dottor Piero Smile ex dirigente di azienda.

La vita, si sa, procede fra alti e bassi, ma i bassi di costui erano stati degli abissi ed era adesso precipitato sul fondo dell’ultimo di essi.  Si trovava lì per decidere della sua vita e i suoi trascorsi gli scorrevano nella mente come su di uno schermo cinematografico e i ricordi erano pugnalate al cuore e riaprivano squarci nei muscoli da cui scorreva sangue vivo:

- La prima infanzia felice in Libia dove era nato da genitori italiani; i rapporti cordiali con i connazionali colà emigrati; la vita agiata raggiunta grazia al lavoro dei genitori.

Poi suo padre che discuteva animatamente nel cortile di casa con uomini armati  e risentì con rinnovato orrore il crepitio di una raffica di mitra e l’urlo disperato di sua madre china su suo marito  immoto in una pozza di sangue.  La precipitosa fuga su un piroscafo insieme a centinaia di connazionali ed il ritorno in Italia con solo una valigia di indumenti.

L’arrivo a Napoli dove furono accolti con suono di fanfara e sventolio di bandierine. La sistemazione provvisoria in baracche e  il definitivo abbandono nell’indigenza e nel bisogno e tutto quello che ne seguì -

La povera madre, non più in grado di provvedere ai suoi figli, dovette, suo malgrado e con grande dolore, separasi da loro che furono accolti in istituti per l’infanzia. 

Piero subì, atroce per un bambino, il trauma dell’abbandono,  allontanato dalla madre e dai fratelli.  La vita in istituto era scandita da un rigido regolamento e da severe punizioni.  Ne uscì al raggiungimento della maggior età dopo aver conseguito un diploma professionale. Si sottopose ai lavori più umili e quando fu assunto, come operaio, in un grande magazzino, si impegnò con tutte le sue forze nel lavoro e nella prosecuzione degli studi fino ad ottenere, trascorsi molti anni, l’incarico di direttore.

Grande fu la soddisfazione  di Piero per avere assicurato alla moglie e ai figli un buon tenore di vita.

Ma un nuovo abisso si spalancò sotto i piedi di quell’uomo sfortunato  e la malasorte riprese ad infierire su di lui. Una ristrutturazione aziendale a seguito di una crisi portò al suo licenziamento. Ormai non più giovane cercò inizialmente con impegno un altro lavoro, ma invano.

Non potere più garantire ai propri cari una vita dignitosa lo addolorava profondamente. La depressione lo agguantò.

Sempre nervoso, esagitato, aggressivo smise di cercare lavoro. Divenne, in casa, sospettoso, litigioso, geloso e così iniziarono i dissidi con la moglie che lo portarono alla separazione e all’allontanamento da casa.

Passò nei primi tempi da albergo ad albergo fino all’esaurimento delle già scarse risorse economiche. Non gli rimase che la strada, l’alcol e l’abbrutimento.

Ora stanco di vagabondare fissava l’acqua del fiume convincendosi sempre di più che la sua vita non era più degna di essere vissuta: doveva solo scegliere tra la corrente veloce e l’orribile mulinello per ritrovare la pace che gli mancava.

Stava per scavalcare il muretto quando si avvide che una donna gli si avvicinava.  Bella, elegante negli abiti e nel portamento, camminando lentamente gli giunse vicino e passandogli accanto gli sorrise e proseguì oltre.

Bastò quel sorriso a Piero per sentirsi un altro uomo. Pervaso da nuovo vigore era come inebriato da quel sorriso schietto, gratuito, luminoso, conturbante.  Fu come un raggio di sole che trova un varco fra un ammasso di nuvole nere dopo una tempesta.

Quel sorriso racchiudeva e glieli riportò alla mente, il sorriso dei suoi bambini, delle donne che aveva amato, della mamma che lo stringeva al seno, del papà che lo accompagnava tenendolo per mano.

Piero si chiedeva perché avesse sorriso a lui, uomo spregevole; chi fosse quella donna; perché una donna così bella ed elegante passasse da sola per un ponte tanto solitario.  Forse non era una donna reale, forse era la sua stessa vita o la sua anima o forse il suo angelo custode  che con fattezze umane gli si era presentato per distoglierlo dal progetto di morte mostrandogli che prima o poi avrebbe nuovamente incontrato chi gli avrebbe sorriso e per incitarlo a vivere ancora e a ricercare la serenità e la piacevolezza della vita di un tempo.

Guardò un’ultima volta il fiume tumultuoso e gli disse: non mi avrai.

Tranquillo e ottimista come non era più da molto tempo, lasciò il ponte e prese a girovagare senza meta per la città finché sostò all’ingresso di una lussuosa villa.  Era stato attratto dalla targa in maiolica collocata sul pilastro dell’ingresso su cui era scritto in caratteri  particolari, svolazzanti  “Villa Sorriso”.  Piero ne trasse buoni auspici.

La villa era bellissima ma chiunque avrebbe notato che il giardino non era in ordine.

“Hanno certamente bisogno di un giardiniere”  si disse convinto Piero.  Credette ancora di più che la sorte ormai girava a suo favore.

Senza esitazione spinse il pulsante del videocitofono quantunque non si presentasse in modo adeguato negli abiti e nell’igiene. Gli fu aperto e sull’ingresso della casa lo ricevette un anziano distinto signore che gli disse che più che di un giardiniere aveva imminente necessità di assumere un autista  che  però si occupasse anche  un po’ di tutto, considerata l’età avanzata sua e di sua moglie , unici abitanti di quella sontuosa dimora.

 Piero si scusò per la trascuratezza della sua persona e spiegò la sua situazione raccontandogli con grande sincerità i travagli della vita trascorsa fino all’episodio del sorriso sul ponte e della sua personale interpretazione data al passaggio della signora sorridente.

Gli elencò le sue capacità professionali senza menzogne: aveva la patente di guida, conosceva quasi tutte le strade della città, per la sua preparazione scolastica poteva svolgere funzioni da segretario e tenere la contabilità, per la cura del giardino non possedeva una preparazione specifica ma si sarebbe aggiornato con riviste di giardinaggio e ricercando istruzioni specifiche su Internet.

L’anziano signore non gli rispose ma stette pensoso mentre con il movimento del capo sembrava annuire a parole non udibili. Sembrava turbato e intristito.  Gli disse: attenda un minuto. Rientrò in casa.

Piero si chiedeva se fosse stato il racconto delle sue vicende a turbarlo in quel modo.

Quando ritornò fuori, il signore stringeva al petto, come in un tenero abbraccio, una foto incorniciata.  La mostrò a Piero. “E’ lei” disse Piero senza aggiungere altro.

E’ la mia adorata figlia che mi ha lasciato da alcuni mesi a causa di una grave malattia. Ancora deve essere tra noi perché ogni tanto ritorna a risolvermi qualche problema.  E’ lei che l’ha scelta e l’ha mandata da noi sapendo che avevamo bisogno di aiuto.

 

Lunedì, 05 Giugno 2017
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