Sopra, puoi vedere il percorso della pagina che si sta visualizzando e consente di risalire al livello superiore
Sotto, questa sequenza di lettere (Alpha Index) è una sorta di indice del nostro sito:
cliccando su ciascuna lettera si possono vedere tutte le pagine il cui titolo comincia con quella lettera.

Una storia popolare

Una storia popolare

 UNA STORIA POPOLARE (by Antonio Abbate)

In uno di quei vicoli stretti e bui  che non hanno mai incontrato un raggio di sole, si apriva l’ingresso di un grande palazzo antico. Lo stemma in marmo posto al centro dell’arco dell’ingresso, rivelava che un tempo era stato proprietà di una nobile famiglia  Nei primi decenni del novecento, divenne proprietà di una Banca, per i debiti contratti dai nobili rampolli che avevano dilapidato tutto il patrimonio fra case da gioco e postriboli.
Nel palazzo ancora permanevano vestigia dell’antico splendore:  il caratteristico cortile esagonale in cui, in tempi floridi, avevano sostato costose carrozze condotte da cocchieri in livrea; le eleganti teorie di arcate a tutto sesto poste sulla facciata interna di fronte all’ingresso e  le due statue di marmo raffiguranti Venere e Diana ai lati dell’androne, sfregiate dall’incuria e dal tempo. Persa la nobiltà, il palazzo era stato  diviso in tanti piccoli appartamenti con il bagno in comune, dati in locazione dalla Banca  a modeste famiglie di operai e impiegati.
Al terzo piano vi abitava Ciro Esposito dipendente della Tramvia Provinciale, conducente di tram.
Sullo stesso piano, al di là del ballatoio dove c’era il bagno comune, abitava Gennaro Esposto, anch’egli dipendente della stessa azienda con mansioni di  bigliettaio.
Due colleghi vicini di casa diventano molto probabilmente amici. Ciro e Gennaro no; anzi  tra i due si erano, col tempo, sedimentati tanto astio e rancore  da sfociare addirittura in inimicizia.
Ciro si vantava  di svolgere, rispetto a Gennaro, un lavoro di maggiore responsabilità: “sono io che assicuro l’incolumità dei passeggeri, senza parlare della difficoltà di condurre un tram. Altro che staccare i biglietti!”
Gennaro la pensava diversamente: “che ci vuole a guidare un tram; ha la strada tracciata  dalle rotaie. Io incasso i soldi che servono a pagare gli stipendi, anche  il suo.”
Così rispondeva a chi, a conoscenza dei loro pessimi rapporti,  maliziosamente gli chiedeva quale dei due lavori fosse più importante.
Ciro inoltre mal sopportava che i passeggeri si rivolgessero a lui freddamente mentre molti erano affabili e cordiali con Gennaro: “Don Gennaro, il caffè è pagato, don Gennarino a che ora si parte, don Gennaro ossequi alla signora”
 Il rispetto e le tante moine non erano ingiustificate. Il bigliettaio se li era cercati esentando dal pagamento parenti, amici, amici dei parenti e per non incorrere in sanzioni in caso di controllo, non staccava il biglietto neanche ai parenti e agli amici dei controllori.
Con tanti favori elargiti estendeva la cerchia dei suoi conoscenti ed estimatori pensando di costruirsi, essendo impegnato in politica, una base elettorale per la sua elezione al consiglio comunale, la sua più grande ambizione. I due tramvieri sul lavoro non si parlavano se non per comunicazioni di servizio e non si salutavano neppure se si incontravano per le scale del palazzo.
Ciro aveva due figli, Domenico di  ventiquattro anni e Rosetta di diciannove,  bruna, snella e formosa, una giovane bella donna mediterranea.
Gennaro aveva una sola figlia Carmelina coetanea di Domenico, chiara di carnagione e di capelli, piuttosto in carne. Un tipo nordico.
Questa figlia era il suo  maggior cruccio. Vederla per casa a quell’età (le figlie dei suoi conoscenti si erano  già sposate prima dei vent’anni) senza fidanzato e senza mostrare alcun interesse a cercarlo, lo preoccupava. Inoltre, negli ultimi tempi, gli sembrava un tantino ingrassata.
Di questo suo cruccio mise al corrente  un collega, Giustino suo lontano parente, che vedendolo così amareggiato lo rassicurò dicendogli che si poteva facilmente trovare la soluzione affidandosi ad Angelona.
Angelona era un donnone cinquantenne che portava sul suo metro e sessanta di altezza oltre cento chili di corpo. Aveva fama di essere bravissima a combinare matrimoni oltre che a occuparsi di vasvolgeva  per conto terzi pratiche per l’ottenimento di pensioni e invalidità, presentava ricorsi, insomma seguiva ogni incombenza che gli altri per incapacità o mancanza di tempo non erano in grado di seguire. Però la sua specialità era combinare matrimoni.
Quando l’amico di Gennaro si recò da Angelona, questa, a suo dire, aveva per le mani un ottimo partito. Nientemeno che il figlio del farmacista.  “Non gli manca niente” disse magnificando la sua merce “ soldi, salute, istruzione”.
Diceva il vero ma omettendo qualche caratteristica  meno positiva.
Franchino Lo Jodice, il figlio del farmacista, laureato in farmacia lui stesso sebbene suo padre avesse dovuto sborsare fior di milioni per ogni esame, era anche di aspetto abbastanza gradevole  ma a trent’anni si rivolgeva per tutto ancora a “mammina”.
Allevato da una madre oppressiva e possessiva, benché trentenne, non era ancora uscito dall’adolescenza e non dava segni di essere interessato alla donne, particolare questo che allarmava non poco suo padre, noto dongiovanni, dubbioso della sessualità del figlio. 
Franchino era inoltre ancora capriccioso come un bambino ed esigeva che tutto corrispondesse perfettamente ai suoi desideri.
Angelona l’aveva già presentato ad alcune ragazze in cerca di un buon partito, ma Franchino, non trovandole di suo gradimento, senza fare commenti, contrariato, era immediatamente uscito dalle loro case.
“Benissimo” le disse l’emissario ”portalo a conoscere quest’altra bella ragazza” e le dette l’indirizzo: “ via cupa 12, terzo piano sulla destra del pianerottolo guardando le arcate, signor Esposti”.
Intendeva dire sulla destra guardando le arcate dal cortile.
La ruffiana si presentò la domenica mattina successiva accompagnata dal giovane.
Ansimando salì le sei rampe di scala che portavano al terzo piano, trascinandosi col suo quintale e fermandosi a riprendere fiato ad ogni pianerottolo.
Intanto il ragazzo sbuffava “Uffa! Tutta questa fatica per niente. Già lo so che non mi piacerà.”
Giunta sudaticcia al terzo piano, si asciugò il sudore che le colava sul collo e  sulle guance maialesche con un enorme fazzoletto, guardò le arcate  e andò alla sua destra. “Di qua” disse al ragazzo.
Sulla prima porta c’era una piccola targa col nome dell’inquilino scritto in caratteri minuti: Ciro Esposito.
“Ci siamo” pensò soddisfatta e spinse il pulsante del campanello elettrico posto sulla porta.
Ciro si stava godendo la mattinata festiva oziando per casa in pigiama. La figlia invece già agghindata per andare a messa, seduta sul divano era immersa in “Grand’Hotel”.
“A che devo…” Angelona non gli lasciò finire la frase: “Le presento il dott. Franchino, è il figlio del farmacista. Mi manda, come sa, Giustino il tramviere, il suo collega”
A Ciro affluì il sangue alla testa. Essere definito collega di un bigliettaio!
“Ma io non ho niente da spartire con il signor Giustino”.
Angelona perplessa rimase per un istante confusa poi si riprese e: “ mi ha detto che è anche suo parente; lui mi ha detto di venire al terzo piano sulla destra guardando le arcate, dal signor Esposti”
Ciro comprese: “Ha sbagliato appartamento perché mi chiamo Esposito e non Esposti. E l’appartamento a destra può essere quello a sinistra che diventa a destra guardando le arcate dal cortile”.
Angelona mortificata per l’ingiustificata intrusione, non smetteva di scusarsi per avere recato disturbo proprio una domenica mattina;  poi richiamò Franchino.
Ma Franchino nel frattempo già conversa affabilmente con Rosetta alla quale si era presentato senza attendere i convenevoli di rito tanto ne era stato attratto  a prima vista.
“Vieni dobbiamo andare nell’altra casa, abbiamo sbagliato indirizzo”
“Vacci tu le rispose il giovane che per me è l’indirizzo giusto perché finalmente ho trovato una ragazza uguale a mammina”.
Ad Angelona non rimase che andare via da sola e chiedere a Giustino di scusarla anche se era stato il ragazzo a rifiutarsi di  seguirla al posto giusto. Quando Gennaro fu informato dell’accaduto si adirò moltissimo. Aveva persa l’occasione di imparentarsi  con il più ricco del paese e ne attribuì, senza esitare, la colpa al suo nemico. “Ladro, approfittatore, senza dignità” erano le offese che  rivolgeva al vicino di casa, parlandone con sua moglie e sarebbe andato a bussare alla porta di Ciro per dirgliele sul muso,  se la moglie non l’avesse dissuaso dicendo che mostrandosi così contrariato gli avrebbe dato maggior soddisfazione.
Ciro da parte sua rimase lusingato dalla laurea, dalla farmacia, dalla ricchezza del pretendente della figlia e la convinse a fidanzarsi anche se la ragazza non ne era entusiasta perché vagheggiava un matrimonio d’amore.
 Angelona, nonostante il fallimento della sua missione, richiese il pagamento delle sue spettanze al farmacista, a Ciro e a Gennaro.
Ai primi due perché si era concluso il fidanzamento, a Gennaro perché l’insuccesso della missione era da attribuirsi alle istruzioni datele in modo errato.
“Non ti spetta nessuna ricompensa” le disse il farmacista “perché la fidanzata se l’è trovata da solo mio figlio”. “Non ti ho dato nessun incarico” le disse Ciro “al massimo ti invito al matrimonio”. “La  citerò io per danni” le mandò a dire Gennaro “perché col suo errore mi ha fatto perdere una grande occasione”.
Angelona non si arrese e si rivolse all’avvocato Patanè. 
 Vecchissimo professionista di origini siciliane si era trasferito al “nord” per amore. Durante il servizio militare si era invaghito ben corrisposto di una splendida ragazza che però alla sua richiesta di trasferirsi in Sicilia aveva risposto che neanche per tutto l’oro del mondo  si sarebbe allontanata dai suoi amati genitori e dal suo paese.
Patanè aveva per molti anni esercitata la professione dignitosamente ma ora in vecchiaia i clienti scarseggiavano ed il suo studio era divenuto come la rete di un ragno. Chi vi entrava ne rimaneva fatalmente invischiato. Patanè non lasciava andare il cliente se prima, scavando tra i suoi affari, i suoi rapporti, il suo agire, non fosse riuscito a trovare un pretesto per iniziare una causa, fosse pure davanti al Giudice Conciliatore.
Immancabilmente, pur sapendo infondate le pretese della donna,  convinse anche Angelona a fare causa e citò il farmacista, Ciro e Gennaro.
Alla prima udienza si presentarono  le famiglie di Ciro e Gennaro al completo, vestite a festa, quasi andassero ad un ballo di gala o ad una prima teatrale.
Gennaro, benché in prima fila accanto al suo avvocato, notò, con disappunto,  che sua figlia  non solo si era seduta vicino a Domenico il figlio  del nemico, ma addirittura conversava con lui  in atteggiamento confidenziale. 
Ritornati a casa,  la rimproverò aspramente: ”con quello non voglio avere nulla a che fare e tu suo figlio non lo devi guardare nemmeno da lontano altrimenti…” E si morse con forza la base dell’indice della mano sinistra alzando l’altra mano minaccioso, ad indicare la sua rabbia attuale e la  severa punizione per la ragazza in caso di disubbidienza. 
Carmelina non rispose ma non riuscì a trattenere le lacrime e scappò nella sua camera.
Tra i due ragazzi, in realtà,  c’era più che un rapporto di amicizia assecondato anche dalle rispettive mamme le quali decisero che era il momento di metterne a conoscenza i rispettivi mariti.
La reazione di Gennaro fu violentemente negativa. “Mai, piuttosto la caccio di casa anzi l’ammazzo,  lei… e chi le da la mano”.
 “Mai”  disse anche Ciro a sua moglie “Domenico fa bene a divertirsi ma che non diventi una cosa seria”. 
La  cosa invece, era già seria anzi molto seria.
Bisognava assolutamente far cambiare idea ai mariti ed anche in fretta.
La moglie di Ciro si ricordava di una donna, l’aveva letto su qualche rivista, una certa Lisandra o forse Lisastra o  Lisistrata che era riuscita con altre donne addirittura a fermare una guerra attuando lo sciopero dei doveri coniugali. Decisero di provare.
“Fino a quando ti opporrai, io dormirò sul divano” annunziò la moglie a Ciro.
Quella di Gennaro fu più severa “Fino a quando ti opporrai, tu dormirai sul divano e non ti azzardare ad entrare in camera da letto”
Ciro resistette solo tre giorni focoso com’era, al quarto trascinò la moglie in camera dicendole “ma alla fine, a ventiquattro anni Domenico è un uomo e può mettersi con chi vuole”.
Gennaro stette sulle sue per una settimana ma la mancanza della moglie era una vera tortura, non riusciva a dormire , per tutta la notte si rigirava sullo  scomodo divano, poi capitolò: “E va bene mi hai estorto il consenso ma Quello deve venire a chiederlo a me accompagnato dal figlio”.
Ciro scuro in volto si presentò a casa di Gennaro con un fascio di rose  per la signora Esposti accompagnato dalla moglie e da Domenico con regolamentare anello di fidanzamento per la ragazza.
Gennaro andò ad aprire con l’espressione di condannato a morte e biascicò solo “entrate” tenendo gli occhi fissi al pavimento.
I due uomini seduti agli opposti estremi del tavolo della stanza da pranzo  sembravano i protagonisti di “Mezzogiorno di fuoco” pronti ad estrarre la colt e a sparare. 
La signora Esposti  stemperò la tensione mettendo in tavola un vassoio di sfogliate frolle ancora tiepide di forno e caffè bollente e denso, una crema, come piaceva a suo marito.
Il padrone di casa “ siamo qua” disse. “E si” rispose Ciro “di fronte all’amore…”
“L’amore non basta per mettere su famiglia” rilanciò Gennaro “tuo figlio non ha ancora un lavoro”
“ E questo non è un problema, lo sai bene. In azienda il figlio prende il posto del padre quando va in pensione, a meno che tu con le tue conoscenze  in politica non gli fai vincere prima il concorso.”
“Si può tentare, ma è difficile, occorrono i titoli per superare la concorrenza.  Hanno la precedenza figli di dipendenti, sposati e con prole”.
Intervenne la moglie di Ciro: “Allora, signor Esposti, siamo a cavallo perché Domenico è figlio di dipendente, i ragazzi si possono sposare subito in Municipio, e in quanto al figlio…” dette una sguardo interrogativo alla Esposti che assentì con un cenno del capo “in quanto al figlio è in arrivo. Carmelina è già al quarto mese”.
Gennaro sbiancò, poi saltò come una molla dalla sedia, con un urlo disumano tentò di lanciarsi sulla figlia che prevedendo la reazione violenta del padre si era messa al riparo dietro a Ciro. Ciro scattò in piedi e allargò le braccia per proteggere la ragazza. Non potendola colpire Gennaro prese a schiaffeggiarsi con violenza.
“Ti vuoi ammazzare ?” gli disse ironica la moglie. “Fallo, tanto ho già provato a dormire da sola e ti posso assicurare che si sta bene, molto bene. Ma come ragioni. Tu stesso hai appena detto che occorre avere un figlio per essere assunti in azienda e, ora che il problema è risolto, ti schiaffeggi.”
Dopo due mesi si celebrarono le nozze con Carmelina che indossava un vaporoso abito bianco per camuffare il pancione.
L’anno successivo convolò a nozze anche  Rosetta, ma con Giuseppe che gestiva una  salumeria nel quartiere. Già prima di conoscere Franchino, Rosetta si sentiva turbata dagli sguardi appassionati e dalla devozione che le dimostrava Giuseppe quando si recava a fare compere nel negozio.
Ma quando Giuseppe, con la scusa mostrarle personalmente quanta merce teneva in magazzino, la convinse ad entrare nel retrobottega e l’abbracciò e baciò con grande passione, Rosetta si sentì il sangue ribollire mentre il corpo le si scioglieva nel suono di campane a festa.
Allora decise di lasciar perdere il futuro di signora borghese, la farmacia e Franchino.
Dopotutto si sarebbe liberata anche di “mammina” che Franchino avrebbe portata anche in viaggio di nozze.
Quando Rosetta gli comunicò che il loro fidanzamento non poteva proseguire perché lei non provava vero amore ma solo amicizia, Franchino non ne fu granché turbato. Disse solo”Rosetta mi dispiace veramente ma solo perché non sarà facile trovare un’altra uguale a mammina”.
 
Giovedì, 03 Agosto 2017
Questo sito utilizza cookies per garantire le proprie funzionalità ed agevolare la navigazione agli utenti, secondo la privacy, copyright & cookies policy.
Cliccando "OK" o proseguendo nella navigazione l'utente accetta detto utilizzo.